Niente toghe, niente diretta streaming. La parola finale sul «Berlusconi case» della Corte europea dei diritti dell'uomo verrà resa nota alle 11 di questa mattina con un comunicato messo in rete. Anche se negli uffici della Corte invitano a non trarre deduzioni da questa scelta di basso profilo («non è un indizio né in un senso né in un altro») è ovvio che la rinuncia alla scenografia delle grande occasioni fa supporre che la Corte alla fine abbia deciso di non decidere. Di non stabilire, cioè, se la cacciata del Cavaliere dal Senato in base alla legge Severino fu un atto di giustizia o il punto più alto di una manovra politica basata su un uso perverso di quella legge. A scrivere ai giudici di Strasburgo di non aver più interesse a una sentenza, d'altronde, era stato lo stesso Berlusconi con una lettera il 27 luglio scorso, dopo che il tribunale di Milano lo aveva riabilitato facendo cadere gli effetti della Severino.
La Corte potrebbe prenderne atto e chiudere la pratica con un nulla di fatto, come potrebbe invece rendere nota ugualmente la sentenza che i diciassette giudici presieduti dalla tedesca Angelika Nussberger hanno comunque già deciso, nel corso delle camere di consiglio dei mesi scorsi. Ma sarà, in ogni caso, per Berlusconi solo una vittoria morale o una sconfitta d'immagine. Per cinque anni, il leader azzurro è rimasto forzatamente fuori dal Parlamento, e a questo non c'è più rimedio. Proprio questa amarezza si coglieva nella lettera con cui nel luglio scorso il Cavaliere aveva comunicato alla Corte la sua rinuncia al ricorso. Una lettera in cui Berlusconi manifestava il suo sconcerto per i tempi assurdi di una decisione che arriva fuori tempo massimo, quando ormai l'ingiustizia di cui si considera vittima ha dispiegato i suoi effetti. Il ricorso a Strasburgo porta la data del 10 settembre 2013. Sono stati necessari quattro anni perché si tenesse la prima udienza, il 22 novembre 2017; un altro anno perché si arrivasse alla decisione di oggi. Nel frattempo la Corte ha sbrigliato centinaia di altri casi grandi e piccoli, alcuni dei quali attendevano anch'essi da tempo: ma altri hanno invece avuto corsie ben più rapide, benché riguardassero unicamente questioni economiche. Qui invece c'erano in gioco i diritti civili di un cittadino e la vita democratica di un Paese. Ma a Strasburgo, evidentemente, avevano altre priorità.
Qualche insofferenza verso i ritmi della Corte Berlusconi l'aveva manifestata già l'anno scorso, in occasione dell'udienza pubblica, in cui i suoi difensori - l'italiano Andrea Saccucci e l'irlandese Edward Fitzgerald - avevano potuto parlare solo brevemente: «Ma come - si era sfogato - mi fanno aspettare quattro anni e poi ci lasciano parlare appena dieci minuti? È la prova che l'Europa è tutta da riformare». Ma non aveva voluto fare polemica, fiducioso che comunque i giudici avrebbero studiato con attenzione le sue ragioni.
E in effetti nelle loro domande alcuni componenti della Corte - dal portoghese Paulo Pinto de Albuquerque all'austriaca Gabriele Kucsko-Stadlmayer - erano parsi colpiti dalle anomalie nella approvazione nella legge Severino e nella sua applicazione a Berlusconi. Forse gli altri giudici condividevano i loro dubbi, forse no. Rischiamo di non saperlo mai.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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