Politica

L'America che non vuole Hillary né Trump. Un indipendente può vincere nello Utah

Da questo Stato del West parte la rivolta contro i due partiti maggiori

L'America che non vuole Hillary né Trump. Un indipendente può vincere nello Utah

L'America è un mosaico mobile e quel che accade nello Utah lo dimostra. Lo Stato dei mormoni è solido, ricco, le sue chiese e gli uffici pubblici sono costruiti in imponente legno di quercia per intimorire i peccatori e ovviamente è uno Stato conservatore e dunque repubblicano dove non si dicono parolacce, non si fuma, non si beve, e dove la memoria di un drammatico esodo e di un mancato sterminio hanno prodotto un Cristianesimo autoctono, con un Jesus Christ rinato sul continente americano (forse in Cile) al termine della sua parabola in Galilea e Samaria. Il popolo fedele a questo Jusus che non ha nulla a che spartire con scriba e farisei era, politicamente, tutto per Trump. O per qualsiasi altro candidato repubblicano al suo posto. Ma da un giorno all'altro, a causa dello scandalo delle registrazioni sessiste, le sue quotazioni sono precipitate dal 50 al 25 per cento. E seguitano a scendere. Con sorpresa di tutti. Hillary Clinton non ne ha tratto alcun vantaggio. Era già al 24 e lì resta. Se ha raggiunto Donald Trump ciò è accaduto soltanto a causa della del famoso audio in cui parla delle donne come prede sessuali includendo, per buona misura, la sua figlia.

E il resto dei votanti? Ecco la sorpresa: il Desert News il più autorevole giornale dello Utah - annuncia che fra i due contendenti emerge il poco noto Evan McMullin, un cinquantenne calvo ma dalla faccia simpatica, sempre in completo scuro e cravatta. Porta con fierezza le sue orecchie a sventola ed è salito alle stesse percentuali dei due candidati maggiori. È l'uomo nuovo McMullin che si avvantaggia sia dello scialbore della Clinton che dell'impresentabilità di Donald Trump. Dunque, in uno Stato importante e anomalo come lo Utah, un indipendente anti-sistema cresce di giorno in giorno e rischia di stracciare i candidati dei due maggiori partiti. Mai accaduto prima. Neanche ai tempi delle ostinate candidature del miliardario Ross Perot che avvantaggiarono Bill Clinton. Il più noto fra gli indipendenti di oggi è il libertarian Gary Johnson, proveniente dal partito repubblicano che faceva parte della cosiddetta «Ron Paul R-Evolution». Programma: basta con la tassa sul reddito, basta con la Federal Reserve, basta con la carta bianca con cui il presidente può far arrestare chiunque ritenga sospetto di terrorismo. Il suo motto è «Sono l'unico a non voler bombardare l'Iran» e la marijuana è il suo dessert preferito. Infine c'è da ricordare la forza inossidabile, anche se ridotta, di Jill Stein del «Green Party» che vuole anche dare l'indipendenza a Porto Rico e sostenere uno Stato palestinese.

Per tornare allo Utah è forte anche la fronda del sindaco della capitale Salt Lake City, Rocky Anderson che fisicamente ricorda il Clinton canuto e giovanile dei momenti migliori. È avvocato e si definisce «avvocato del popolo»: cercò di mettere in stato d'accusa George W. Bush per l'attacco all'Irak e accusò i democratici di essere delle pappemolli, a cominciare dalla Clinton.

Quin Monson che è un'autorità nei sondaggi e che aveva previsto il successo di McMullin, adesso profetizza: «Vedrete che in poche settimane, a partire dallo Utah, tutto cambierà perché questa è l'America che si modifica continuamente anche se restano fermi i suoi principi formali. I due quartier generali democratico e repubblicano sono stati colti di sorpresa e ora esaminano la possibilità di correre a Salt Lake City per salvare il salvabile». Resta il fatto che da un intero Stato si avverta l'insofferenza degli americani per i partiti tradizionali, annoiati sia dei trumpisti che della meticolosa Clinton costretta a parlare di scandali sessuali.

La politica sembra sparita mentre si fa avanti una nuova classe di insofferenti leader, che sembrano tutti puntare a un ritorno dei principi dell'America delle origini, libertaria, individualista ma molto solidale e sociale.

Commenti