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L'America sbugiarda Renzi: "La guerra? Chiesta da Roma"

Sui 5mila soldati da inviare in Libia l'ambasciatore Usa rivela: «Nessuna ingerenza. Si sono offerti loro»

L'America sbugiarda Renzi: "La guerra? Chiesta da Roma"

Roma Ma quale ingerenza. «É stata l'Italia a indicare pubblicamente la sua volontà di inviare in Libia cinquemila uomini» dice l'ambasciatore John Philips: da via Veneto, assicura, o da Washington nessuna ingerenza, Matteo Renzi se la prenda semmai con il suo ministro della Difesa. É stata infatti Roberta Pinotti, venti giorni fa in un'intervista al Messaggero a fare quella cifra: «Se in Afghanistan abbiamo mandato fino a cinquemila soldati, in un Paese come la Libia che ci riguarda molto più da vicino e in cui il rischio di deterioramento è molto più preoccupante per noi, la nostra missione può essere significativa e impegnativa, anche numericamente».

Peccato che il premier non sia per niente d'accordo, anche perché, stando ai sondaggi, l'80 per cento degli italiani sono contro la guerra. «Non mando cinquemila uomini a invadere la Libia, la missione non è all'ordine del giorno, questo non è un videogioco», così l'altro giorno nel salotto tv di Barbara D'Urso se l'è presa con chi, come ad esempio Philips parlando con il Corriere della Sera, dava per scontato lo sbarco delle truppe in Africa. Valutazioni che Palazzo Chigi ha considerato «un'ingerenza».

Ora però da Via Veneto rispondono a tono. Il gergo è sempre diplomatico, il tono è piccato. Cinquemila? Duemila? Nessuno? «Spetta all'Italia decidere e definire i dettagli del suo intervento», precisa l'ambasciata. Ma, appunto, Roma decida. «Gli Stati Uniti - si legge nella nota - lavorano insieme agli alleati, compresa l'Italia, alla pianificazione di una forza internazionale che possa assistere un governo libico di unità nazionale a ristabilire la sicurezza nella capitale. In quest'ottica l'ambasciatore, rispondendo a una domanda, ha semplicemente detto che l'Italia ha pubblicamente indicato la sua volontà di mandare cinquemila uomini». Niente «suggerimenti», niente «raccomandazioni», solo «un commento nell'ambito di un dibattito pubblico». Il comunicato chiude con i rituali «apprezzamenti per il ruolo che l'Italia svolge per la pace in Libia».

Resta da capire quale sarà questo ruolo. Secondo il Guardian cinquemila è il numero complessivo del soldati della coalizione che partirà quando le condizioni politiche lo permetteranno. In realtà le forze speciali di diversi paesi sono già in azione a Tripoli. La posizione di Renzi resta prudente: «L'unico modo per prevedere un nostro intervento militare è nell'ambito di un'iniziativa internazionale su richiesta di un governo libico che sia solido». Insomma, c'è tempo, come spiega il ministro della Giustizia Andrea Orlando: «Anche se non si va verso un governo di unità nazionale, si deve lavorare per la composizione di una coalizione che sia in grado di essere un referente su quel territorio e per l'interlocuzione con la comunità internazionale. Questi due livelli su cui l'Italia sta lavorando non autorizzano nessun tipo di avventura e di azzardo».

Prima comunque se ne dovrebbe discutere in Parlamento, anche se il nuovo decreto sulle missioni all'estero consente al governo di condurre iniziative con unità speciali senza passare per le Camere. Per l'ex ministro prodiano Arturo Parisi «il testo si presta a distorsioni».

Ma per Nicola Latorre, presidente della commissione Difesa, «si tratta di unità numericamente assai esigue, poche decine di persone che non agiscono dal punto di vista bellico».

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