È l'ennesimo prodigio della macchina della comunicazione del M5s, favorita non poco dall'incurante smemoratezza con cui gli elettori - soprattutto quelli assidui sui social media - si confrontano ormai da anni con le cose della politica. Al punto che con cadenza quasi giornaliera il Movimento mette in scena il miracolo degli «equilibri divergenti», tenendo insieme le posizioni più distanti e inconciliabili (caso di scuola Luigi Di Maio e Roberto Fico sull'immigrazione) e passando dal sostenere con forza tutto e il suo esatto contrario.
Così, non stupisce più di tanto che il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede abbia deciso di bacchettare Matteo Salvini ed ergersi a strenuo difensore della Costituzione e delle istituzioni repubblicane. D'altra parte, si dirà, la posizione è più che coerente con il celeberrimo «o-ne-stà-o-ne-stà» che ha portato i Cinque stelle dalle piazze del Vaffa-day a Palazzo Chigi in pochi anni. Il punto è che l'appello del Guardasigilli al «rispetto delle sentenze» stride prima di tutto con il fatto che la Lega contro cui punta il dito è l'alleato con cui il M5s ha deciso di accompagnarsi nell'avventura di governo, scelta che ha fatto lucidamente e con la consapevolezza che la strada intrapresa avrebbe costretto il Movimento a trascurare molti dei cosiddetti comandamenti delle origini. Ancor di più colpisce il tono quasi professorale con cui Bonafede critica Salvini per aver coinvolto nella vicenda Sergio Mattarella e invita il leader della Lega a non «evocare scenari che sembrano appartenere più alla Seconda Repubblica». Una reprimenda da bravo ministro della Giustizia, in difesa della magistratura e delle istituzioni. Che fa un po' sorridere se solo si torna indietro di un mese, quando nel pieno delle consultazioni Di Maio, Alessandro Di Battista e tutti i vertici dei Cinque stelle chiesero a gran voce - nei talk televisivi, nei comizi di piazza e sui social - l'impeachment per Mattarella, reo soltanto di aver detto «no» alla nomina di Paolo Savona al ministero dell'Economia.
Un veto, quello del Colle, legittimo e rispettoso delle prerogative costituzionali del capo dello Stato, ma che era stato sufficiente per far scattare una stravagante richiesta di messa in stato di accusa del presidente. Per dirla con Bonafede, un altro scenario «che sembra appartenere alla Seconda Repubblica». O più semplicemente la conferma che la Terza è ancora lontana da venire.
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