L'ascesa dei De Luca boys sotto l'ala di papà governatore

Presa la Campania, il presidente Pd lavora al futuro in politica dei figli Piero e Roberto. Il primogenito verso la Camera, per il minore pronta la poltrona di sindaco di Salerno

L'ascesa dei De Luca boys sotto l'ala di papà governatore

Se dalle analisi di Fabrizio Barca risulta che il Pd nelle sue enclave di potere è «partito feudale», l'incarnazione nel reale s'incontra a Salerno, nel feudo della De Luca&Sons. Dove, almeno, il marchio della ditta corrisponde a quello della famiglia (essendo dio e patria, per fortuna, indisponibili).

Inchiodatosi Vincenzo sulla poltrona di governatore campano, come promesso, gabbata la Severino, al Casato si pongono ora due problemi principali. Primo: cercare di farsi accettare dalla schizzinosa Capitale del Reame, così restia nei confronti dei cosiddetti cafune . Secondo: trovare sistemazione per i due gioielli di papà. Piero, 34 anni, avvocato già forgiato a Roma, presso lo studio Clarizia (guarda caso difende il Comune di Salerno nel contenzioso riguardante l'affare del Crescent sul Lungomare), e ora emigrato in Lussemburgo a patrocinare presso la Corte europea di giustizia. «Mi dà un'apertura mentale altrimenti difficile da raggiungere». Piero - affatto trota agli occhi di papà -, ne è il suo principale confidente, e di recente s'è autopromosso personale consigliere per i fondi europei. A furia di seguire babbo, s'è scottato di continuo: indagato per il fallimento del pastificio Amato (concorso in bancarotta fraudolenta e appropriazione indebita), indagato per alcune consulenze concessagli da società in affari con il Comune salernitano. Malelingue insinuano che è per questo che gli hanno fatto cambiare aria, ed è per questo che prima o poi sarà inserito nelle liste elettorali delle Politiche (dal 2014 fa già parte dell'Assemblea nazionale del Pd, in quota renziana). In alternativa le Europee; sarà per questo che a settembre terrà un convegno a Salerno assieme all'influentissimo Gianni Pittella.

Se Piero s'è fatto attento e prudente, e si contenta di «dare una mano a papà con iniziative, convegni e incontri», il minore, Roberto, è arrembante e piacione. Laureato in economia aziendale, master all'estero, 32 anni, dopo la vittoria di giugno ha già spiegato senza complessi che assieme a Piero resterà «accanto a nostro padre, ma senza incarichi ufficiali. Non sarebbe bello vedere la famiglia incardinata in ruoli ufficiali». Ufficiali no, ufficiosi sì. Presenta progetti di coworking nel palazzo comunale che conosce a menadito (lo bazzica da quando aveva dieci anni), coordina un think thank (Articolo 41), da gennaio è anche nella direzione provinciale del Pd come responsabile economico. Suoi sarebbero i maggiori contatti con i finanziatori della campagna elettorale paterna. «Sì, ho dato una mano al programma di mio padre - si schermisce -, sulle politiche dello sviluppo». In corsa per un assessorato, sembra ormai quasi certo che punterà alla poltrona di sindaco in primavera. A distanza di venti giorni da Piero, pare che presenti un proprio convegno. Ma la lotta fratricida con il primogenito, sulla falsariga di Ed e David Milliband, i leader del Labour inglese, sembra sventato. Quando chiesero a Piero se pensasse a fare il sindaco, rispose: «Ci manca ancora un anno, e un anno in politica equivale a un'era geologica. Con mio fratello? Tireremo a sorte». Quest'estate la monetina in aria dovrebbe averla già tirata (e sequestrata) l'autorità paterna. Il quale sui figli in politica ha idee precise: «Ogni polemica a riguardo è un'imbecillità.

Il problema non è essere figli di ma sapere se il figlio è un cretino. Se è cretino non va bene, altrimenti giudicano gli elettori». Che tra gli elettori possano annidarsi dei cretini che eleggono un cretino, non è previsto.

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