Lascia la toga della sentenza Ruby: Corte nel caos

Milano «Nessuno è indispensabile, tutti possono essere utili. E sulle mie dimissioni ognuno pensi quello che vuole». Così ieri mattina Enrico Tranfa, presidente della Corte d'appello che ha assolto Silvio Berlusconi nel caso Ruby, ha commentato la notizia delle sue dimissioni dalla magistratura. Tranfa non ha voluto confermare ma nemmeno smentire l'interpretazione più diffusa ma anche più sconcertante: quella secondo cui avrebbe gettato la toga per segnalare nel modo più vistoso il suo dissenso dalla sentenza. Tranfa, secondo questa interpretazione, era per la condanna di Berlusconi almeno su uno dei capi di imputazione e sarebbe stato messo in minoranza dagli altri due componenti del collegio giudicante. Giovedì scorso ha comunque firmato le motivazioni della sentenza, e subito dopo ha trasmesso all'Inps la richiesta di pensionamento.

Sarebbe, in questo caso, un gesto senza precedenti. Negli ambienti della Corte d'appello milanese si fa presente però che sulla decisione di Tranfa potrebbero avere pesato anche altre considerazioni. Il giudice ha ormai settant'anni, e le recenti modifiche introdotte dal governo Renzi gli precludono ogni ulteriore possibilità di carriera e lo avrebbero comunque costretto alla pensione alla fine del prossimo anno. Anche l'altro presidente della seconda sezione della Corte d'appello milanese, Filippo Lapertosa, ha nei giorni scorsi abbandonato il servizio attivo, e lo stesso hanno fatto altri magistrati: nel timore, si dice, che la spending review di Renzi faccia scattare nuove restrizioni a pensioni e liquidazione.

Ma l'aspirazione a una serena vecchiaia non basta a spiegare il gesto di Tranfa. A un giudice con quarant'anni di esperienza sulle spalle non può essere sfuggito che dimettersi il giorno stesso del deposito delle motivazioni del caso Ruby rende inevitabile mettere in relazione i due eventi. Ciò che è accaduto in camera di consiglio è segreto, a meno che ora non sia Tranfa (ormai libero dagli obblighi della toga) a volerlo raccontare. Ma è anche possibile, ed anche questa interpretazione circola con una certa autorevolezza, che Tranfa fosse effettivamente in dissenso con gli altri componenti del collegio ma per motivi opposti; che non volesse, cioè, imporre un trattamento più severo di Berlusconi: ma, al contrario, perché non condivideva una serie di asprezze che le motivazioni della sentenza riservano comunque all'ex presidente del Consiglio, accusandolo di avere trasformato Arcore in un«puttanaio» e dando per assodato che abbia avuto rapporti hot con Ruby, pur non sapendo che era minorenne. Se il dissenso riguardasse le motivazioni, e non l'assoluzione, si capirebbe perché la camera di consiglio del 17 luglio durò solo una manciata di ore, mentre invece per depositare il testo della sentenza il giudice a latere Concetta Lo Curto abbia impiegato tutti i novanta giorni del termine massimo, con il rischio addirittura di dover chiedere una proroga.

Ieri Tranfa fa sapere che la sua è stata una scelta «meditata»; i due colleghi del processo Ruby pare invece siano stati presi alla sprovvista.

Intanto, le dimissioni di Tranfa hanno effetto immediato, i processi già iniziati dovranno ricominciare da capo, e il giudice dimissionario dovrà impiegare i primi tempi della pensione a scrivere oltre centoventi sentenze in lista d'attesa.

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