Lasciamo i dipendenti liberi di gestire il Tfr

Affidare nuove risorse nella diretta disponibilità dei lavoratori, che in realtà sono i legittimi titolari di quelle somme differite, sembrava potesse essere un piano efficace, anche per emancipare il ruolo dei cittadini da una delle tante forme di paternalismo che lo Stato italiano adottava ancora nei loro confronti

Lasciamo i dipendenti liberi di gestire il Tfr
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di Antonio Mastrapasqua *

L'idea di "liberare" il Tfr ci venne nel 2010. Una mensilità in più all'anno, una quattordicesima per tutti, per sempre. La crisi del 2008 era ancora calda, quella del 2011 era già avvertita. Affidare nuove risorse nella diretta disponibilità dei lavoratori, che in realtà sono i legittimi titolari di quelle somme differite, sembrava potesse essere un piano efficace, anche per emancipare il ruolo dei cittadini da una delle tante forme di paternalismo che lo Stato italiano adottava ancora nei loro confronti.

Non a caso l'istituzione del Tfr (all'inizio denominato come "indennità di anzianità" o "liquidazione") è del 1927. Quasi cent'anni fa. In pieno regime fascista. La riforma del 1982, che regola attualmente l'istituto del Trattamento di fine rapporto (Tfr, appunto) aveva aggiunto solo alcuni elementi di garanzia, ma aveva sostanzialmente seguito il progetto della "Carta del Lavoro". Con i ministri competenti dell'epoca ci furono riflessioni e confronti, che vennero estesi anche ai responsabili delle organizzazioni sindacali. Sembrava che si fosse costruito un solido consenso. Poi nell'estate del 2011 arrivò la lettera della Bce e il governo ebbe altre urgenze. Rispetto ad allora il quadro in cui parlare di Tfr, oggi, non è molto cambiato. C'è in più la consapevolezza di una crisi demografica che è destinata a modificare tutto il welfare del Paese. Non solo, rispetto ad allora per quanto mi riguarda io sono solo un osservatore, attento, ma esterno del tutto, mentre in quel frangente ero attore diretto, al vertice dell'Inps.

C'è un altro argomento che viene spesso evocato, parlando di Tfr: sostenere la previdenza complementare. In realtà, anche allora la questione era tutt'altro che marginale. L'Inps di quegli anni creò per la prima volta la possibilità di consultare il proprio conto previdenziale, premessa essenziale per comprendere necessità e urgenza di una pensione di scorta. Le compagnie di assicurazioni chiedevano costantemente tavoli e consultazioni con Inps per definire percorsi pubblico-privati per costruire le migliori offerte di previdenza complementare, direttamente o per tramite dei Fondi. La collaborazione tra pubblico e privato era allora, come oggi, inevitabile. Richiedeva regole e garanzie. Mi fu persino chiesto di sedere nel Cda di una grande compagnia, come indipendente. Mi consultai anche con Mario Draghi, all'epoca Governatore della Banca d'Italia. Convenimmo che poteva essere inopportuno. Ma resta il fatto che un rapporto trasparente tra pubblico e privato dovrebbe poter contare sulla partecipazione libera e attiva dei cittadini e dei lavoratori. Perché non affidare direttamente a loro la disponibilità del "loro" Tfr?

Per anni e progressivamente, si è cercato di convincere i lavoratori di dirottare il Tfr nei Fondi pensione. Una nuova forma di dirigismo che si proponeva di ammodernare il paternalismo del secolo scorso? Il nostro è un Paese sempre più libertario e sempre meno liberale, che non si fida della libertà esercitata dai cittadini. Complessivamente, siamo a uno scarso 30% di adesioni (dico scarso, perché molti di coloro che aderiscono a Fondi poi non versano le quote di contribuzione). A dire il vero le prestazioni offerte dai Fondi non sono molto migliori di quelle garantite dal Tfr, tranne che per i Fondi ad alto contenuto azionario, che tuttavia riguardano sì e no il 10% degli aderenti (solo il 4% degli aderenti ai Fondi negoziali). La questione oggi torna alla ribalta con la proposta sostenuta dal sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon che prevede che il Tfr maturato dai lavoratori non venga più destinato automaticamente a fondi pensione privati, ma resti nelle casse dell'Inps. Questa modifica avrebbe un doppio scopo per il governo Meloni: consolidare le basi finanziarie del sistema previdenziale e offrire al lavoratore un'opzione di pensione integrata o anticipata. Visto che la quota 103 non ha funzionato.

Ci risiamo: sulle pensioni si continua a rimettere mano, cambiando regole e spesso limitandosi ad annunciarne altre, prescindendo sempre dalla chiarezza e dalla certezza di cui hanno bisogno i lavoratori per progettare serenamente il loro futuro dopo il lavoro. Perché non "fidarsi" della libertà di ciascuno nella gestione delle proprie risorse? A partire dal Tfr. A differenza del 2010, non è una proposta. È solo l'idea di un osservatore.

* Già presidente Inps

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