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L'assenza al summit antisemita? Grande vittoria

La decisione dell'Italia di non partecipare a quella che era stata inappropriatamente chiamata "Conferenza mondiale contro il razzismo" è molto importante

L'assenza al summit antisemita? Grande vittoria

La decisione dell'Italia di non partecipare a quella che era stata inappropriatamente chiamata «Conferenza mondiale contro il razzismo» è molto importante. Il nostro giornale è felice e fiero che la sua richiesta sia stata accolta. Si tratta, come abbiamo scritto, della quarta edizione di una delle maggiori conferenze delle Nazioni Unite che si svolgerà il 22 settembre; gli Usa, il Canada, l'Inghilterra, la Germania, la Francia, la Repubblica Ceca, l'Olanda e altri che già avevano boicottato l'iniziativa nelle versioni precedenti sono partner dell'Italia nella decisione.

Durban è stato un disastro morale per il mondo intero, la patente internazionale per consentire che la cultura, la mentalità vittimista e aggressiva che sta alla base della follia del 2001 rovesciasse i canoni stessi dei diritti umani, usasse come una scura rovesciata l'idea di perseguitati e persecutori, di oppressi e di oppressori. Durban alimenta fino al giorno d'oggi la cultura del vittimismo che rende nemico l'uomo all'uomo sulla base del concetto fantasticato, estremizzato, falsificato di cultura, di religione, di genere, di razza. I terroristi diventano combattenti della libertà, le folle infuriate parametri di giustizia, le accuse pregiudiziali prove provate, le regole pastoie.

A Durban nel 2001, nel clima entusiasta post apartheid, per le Ong che avrebbero dovuto affiancare la conferenza contro il razzismo, cui io ero presente come corrispondente, gli ebrei diventarono oggetto di caccia addirittura fisica; si distribuivano «I protocolli dei savi di Sion»; folle «antirazziste» marciavano sotto i ritratti di Bin Laden pochi giorni prima del disastro delle Twin Towers; la sala risuonava dei discorsi in cui Arafat, che da poco aveva firmato gli accordi di Oslo, dichiarava Israele e gli ebrei «genocidi» e «colonialisti», dittatori o satrapi come Fidel Castro, Ahmadinejad, Mugabe, incitavano all'odio antisemita e li correlavano alla storia imperalista dell'Occidente, alla sua smania di dominio e di potere.

Si fondava sotto l'egida dell'Onu una teoria rovesciata dei diritti umani per cui diventi un razzista se non ti metti in ginocchio ad esclamare la tua colpevolezza nei secoli. La conferenza fu programmata per trasferire su Israele i crimini dell'apartheid, con cui non aveva niente a che fare; il termine Olocausto fu usato a destra e a manca includendovi i palestinesi; la stessa impropria vittimizzazione viene usata dai novax che si travestono da prigionieri di Auschwitz. É la vittimizzazione che libera dalla responsabilità, ignora il contesto storico, vede le istituzioni come mezzi per realizzare i propri fini. Per esempio, il Consiglio per i Diritti Umani che si occupa quasi solo di Israele, fidando sull'ignoranza e l'indifferenza di fronte a terrorismo, dittatura, corruzione.

Dopo l'ultima guerra di Hamas, in cui era chiarissimo chi fosse l'aggressore, e i missili grandinavano su Israele, si è invece avuto una ondata di odio antiebraico e antisraeliano: a Londra bastava avere una kippà in testa per essere aggrediti e così a Parigi, a Bruxelles. Degli ebrei si dice che sono parte del «suprematismo bianco», un altro modo di dichiararne il ruolo di oppressore. Ma anche gli italiani, gli inglesi e i francesi sono suprematisti bianchi, e colonialisti, e razzisti.

É la logica della cultura di Durban: ottimo che non ci andiamo.

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