Siamo talmente assuefatti alla chiacchiera televisiva e social da aver perso il senso del peso delle parole. Se il presidente Biden prima e, in un comunicato ufficiale poi, il segretario di Stato Blinken, definiscono Putin un «criminale di guerra» e se Draghi, in Parlamento, lo raffronta a Hitler, le parole sono macigni. E producono conseguenze ben precise. Quella dell'esclusione del presidente russo dal cerchio della rispettabilità, la sua assimilazione a Saddam Hussein, Milosovic, Assad. Con cui non ci si sedeva al tavolo e non si trattava, che non partecipavano ai vertici internazionali. Non c'è bisogno di una sentenza di tribunale internazionale: se la principale potenza del pianeta ti definisce così, e non lo aveva mai fatto neppure con i leader sovietici o con Mao, con cui anzi strinse uno storico accordo, vuol dire che sei finito. Certo, il potere degli Usa oggi è diverso da un tempo: come scrive il Wall Street Journal, nel presentarsi Putin come nemico dell'America può incrementare le simpatie in paesi mediorientali o asiatici. Tuttavia non stiamo parlando di un rais, ma del presidente di un paese che, fino alla Crimea e anche oltre, era considerato uno dei potenti con cui confrontarsi e la cui parola era da tenere da conto. Ora non più: anche se a Putin dovesse andare bene la guerra, e in questo momento non si vede come, egli si è posto al di fuori del consesso civile. Le parole di Draghi in parlamento sono state dure, opportune e rivoluzionarie. Si è spinto dove neanche Macron e Scholz erano arrivati: non ha parlato di crimini di guerra ma ha evocato Hitler, il che è persino peggio. Un passaggio rivoluzionario perché ha spazzato via la melliflua ambiguità franco-tedesca, ha inserito il nostro paese nell'asse atlantista Usa-Uk e ha fatto capire che, almeno finché ci sarà Draghi, non saremo più il paese filo russo che siamo stati. È nella nostra tradizione e nel nostro interesse nazionale esserlo? Non se questo significa sostenere un sanguinario satrapo. Vi è infine una ultima conseguenza: se l'Italia si è collocata, come rare volte nella sua storia, sull'asse atlantista, sarà difficile tornare indietro.
Chi vorrà stare al governo, non solo oggi ma anche dopo le elezioni, dovrà collocarsi rigidamente in questo spazio. Chi non fornirà adeguate garanzie, al contrario, resterà fuori, o sarà destinato a svolgere un ruolo marginale.
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