L'autogol costituzionale di Di Maio sul Def

L'autogol costituzionale di Di Maio sul Def

Il vicepremier Di Maio ha dichiarato che sforare il 2% di deficit nel bilancio non è un tabù. Alla obiezione che sopra quella soglia l'obiettivo di riduzione del debito è a rischio ha replicato che si può ripagare il debito con la spending review nei prossimi anni. Viene il dubbio che il vicepremier non abbia presente l'articolo 81 della Costituzione, nel testo modificato nel 2012, che stabilisce che «lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico». Il ricorso all'indebitamento «è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali». Ne consegue che il Decreto di economia e finanza (il Def) cioè la legge di Bilancio non può derogare al pareggio se non in base ai criteri di cui sopra, cosa che la Commissione europea valuta lo 0,9% e il ministro dell'Economia Tria e il ragioniere generale dello Stato Daniele Franco valutano con maggior larghezza, arrivando allo 1,6-1,8%. E qui, per chi in sede politica vuole imporre un Def superiore a quello stimato dal Ragioniere dello Stato per il ministro delle Economia, scatta una trappola, ossia il potere-dovere del presidente della Repubblica di valutare se la legge di Bilancio che il governo ha fatto approvare dalla sua maggioranza parlamentare, rispetti l'articolo 81. Il presidente Mattarella ha già messo le mani avanti sul tema il 26 ottobre del 2017, ricevendo al Quirinale alcuni studenti delle secondarie e rispondendo alla loro domanda su «come si comporta quando gli capita di dover firmare atti che non gli piacciono». Lui ha risposto così: «C'è un caso in cui posso, anzi devo, non firmare: quando arrivano leggi o atti amministrativi che contrastano palesemente, in maniera chiara, con la Costituzione. Ma in tutti gli altri casi non contano le mie idee». Ergo, una forzatura del governo, sullo sfioramento del 2% che non abbia il placet tecnico della Ragioneria dello Stato, a cui è legato il ministro dell'Economia, sia pure dopo uno scambio di idee, basato non su dati politici, ma su stime economiche, comprese quelle del governatore di Banca d'Italia, porrebbe il governo in un grave rischio, quello di vedersi rifiutata la firma del Def. Un autogol, con effetti imprevedibili. L'idea che si possa fare un deficit, tanto al chilo, mettendo in pericolo la discesa del debito, per rientrare, poi, fra un anno o due, in base al «bene del Paese» valutato su basi politiche (su cui pesa la ricerca di voti per le regionali) è campata in aria. Non sto facendo riferimento ai «cattivi» di Bruxelles, a volte in effetti, arroganti e superficiali e alla ricerca anch'essi di popolarità politica. E neppure ai «mercati finanziari», che, per altro, non sono entità benefiche. Mi riferisco alle norme costituzionali spiegate agli studenti dal presidente Mattarella. Non è certo il caso di pretendere che i Consigli dei ministri siano pieni di professori di diritto o economia. L'elenco di professori ed esperti che nei governi fan disastri, è ampio. La politica è un'arte, non una scienza.

Però è una «arte del possibile» che si gioca entro regole. Ha i suoi Var, come quelli del Ragioniere dello Stato e un arbitro (anche lui imperfetto), che può stabilire se c'è gol o autogol. I presidenti e vicepresidenti delle squadre in campo debbono tenerne conto.

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