Roma - «L'interno della terra è inaccessibile. Noi lavoriamo nel buio». Un buio molto più ignoto dello spazio. I sismologi sono scienziati bendati. Sfidano l'oscurità, e quindi sono destinati a perdere. I Signori del terremoto lo ammettono con franchezza, come se questo lavoro lo avessero scelto anche per questo: inabissarsi nell'Ade da ciechi.
La sede dell'Istituto di Geofisica e vulcanologia custodisce tutti i numeri di una materia impenetrabile. A Sud di Roma, edificio di vetro tra via di Vigna Murata e l'Ardeatina: da qui partono i verdetti sulle magnitudo dei sismi, quelle cifre con virgola che secondo una vox populi partita durante il terremoto dell'Aquila e rilanciata da una sospettosa deputata grillina sarebbero calibrate dai governi per evitare i risarcimenti. Il Virgilio di questa discesa nella lettura della febbre della terra, il sismologo Alberto Michelini, sorride come di fronte a una barzelletta che non fa ridere: «Ora le spiego che cosa è successo domenica mattina».
La sala sismica non è scenografia da Hollywood. Computer allineati che trasmettono sequenze accostabili a cuori che battono. Di fronte, un grande grafico luminoso con un Italia che parla delle sue ferite. Nella colonna di sinistra una lista come una sequenza da aeroporto: «OFFI, NRC, CAMP». Sono le sigle internazionali delle stazioni sismiche, trecento nel territorio. NRC, Norcia, al momento è inattiva. Comanda allora OFFI, Offida, comune in provincia di Ascoli. È il tracciato senza pace che continua a oscillare in ampie curve.
La mattina del Big One marchigiano qui dentro erano in quattro. È la squadra. Due sismologi, uno tsunamista e un tecnico: tre turni senza interruzione. Lo tsunamista è l'esperto dei moti del mare. Tutti hanno una riserva che entra in campo nell'emergenza. In reperibilità fissa c'è un funzionario. La scorsa settimana è toccato ad Alessandro Amato, l'uomo che non dorme più. «Me li sono fatti tutti i terremoti, anche il profondo del Mediterraneo». Una scossa sotto il mare, 470 chilometri, 5.7 gradi, un'Amatrice di Atlantide. «Ieri all'una di notte ho inviato un report alla protezione Civile. Poi ho puntato la sveglia alle 3.05». La mattina di domenica «alle 7.38 ho inviato un report. Alle 7.41 ho sentito il terremoto. Mi sono vestito per correre qui osservando il Colosseo. Quando ci sono stati grandi terremoti della storia nel centro Italia ha perso qualche pezzo».
Non ci può essere inganno di numeri nella scienza del buio, spiega Michelini, anche perché tra tutte è «la più condivisa»: «Quando abbiamo una magnitudo 5, lo rilevano anche i sismografi di Tokyo». Gli archivi mondiali sono sempre disponibili per tutti. Prima si usavano le «cartoline postali». Lo scambio è paradossalmente l'unica certezza nella meno stabilita delle scienze. Ma nel caso dei grandi terremoti, come quello di Norcia, la sentenza dei numeri è più difficile: a quelle potenze le scosse parlano a frequenze più basse. La magnitudo locale (Richter) va confrontata con la magnitudo momento, che indica l'energia liberata. Dopo la scossa delle 7.41 è stato svolto un monitoraggio allargato «ad altre stazioni della regione». Il tempo medio di scarico dati e supervisione è di venti minuti. Domenica il doppio. «Quaranta minuti» per dare sentenza del terremoto italiano più forte dal 1980. «Prima di diffondere dati del genere bisogna controllare quattordici volte. La magnitudo 7,1 non era mai uscita da noi». Non c'è stata una diminuzione del dato, semmai una calibratura in senso opposto: al 6,1 iniziale è seguito il 6,5 definitivo. Il resto è tanto studio e un' infinita incertezza.
Come si può capire se segnali da una faglia sono assestamento o attivazione? «Non si può». Bisognerebbe osservare la crosta dall'interno. Lo fanno in California, un buco di quattro chilometri. «Costi enormi». Serve? «Sì». Ma è solo un frammento di conoscenza nel viaggio al centro della terra.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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