L'avvocatessa che difende l'assassino del suo collega

La sconosciuta Savoca catapultata in un caso da principe del foro. Il processo sarà molto mediatico e potrebbe arrivare un grande nome

L'avvocatessa che difende l'assassino del suo collega

Milano - Contatti ed esplorazioni. Telefonate a studi importanti. Principi del foro in preallerta. La famiglia di Claudio Giardiello cerca lo scudo di un penalista di razza. Un professionista corazzato in grado di gestire il fragore mediatico di una vicenda così clamorosa. Per ora resiste la trincea della prima difesa affidata a Nadia Savoca, pescata a Monza subito dopo la strage. Ma il passaggio del testimone, o almeno l'affiancamento, dovrebbe avvenire a breve. Il tempo di trovare le spalle adeguate a sostenere un peso del genere. «Quando hai un cancro all'ultimo stadio - è la battuta vestita di cinismo che circola nel Palazzo di giustizia - non vai dal medico della mutua». Chi è vicino a Giardiello sa che il difensore dovrà presidiare almeno tre lati di un processo che si annuncia difficilissimo, sul ciglio senza fondo dell'ergastolo.

Si va incontro a un dibattimento da prima pagina, seguito da un plotone di giornalisti. Non sarà facile convivere con i riflettori, d'altra parte sarà la visibilità la moneta universale con cui verrà ricompensato chi seguirà questa vicenda comunque molto intrigante e stimolante per un tecnico del diritto.

Certo, un profano potrebbe immaginare che non sia semplice per un avvocato perorare la causa di chi ha ammazzato un collega, perdipiù col sacrilegio degli spari in udienza. Ma il diritto alla difesa travolge ogni possibile ragionamento alternativo. Semmai a preoccupare sono e saranno le molte insidie su un sentiero strettissimo. Con ogni probabilità il difensore, chiunque sia, eviterà come la peste la corte d'assise con i giudici popolari e si infilerà nel recinto protetto e ovattato, per quanto possibile, del rito abbreviato che garantisce uno sconto al reo.

Attenzione, visto il quadro Giardiello potrebbe finire ugualmente in carcere a vita: il legale o il pool di difensori tenterà comunque di rompere l'assedio cercando un varco. Il nemico numero uno si chiama premeditazione, l'aggravante che spingerebbe inesorabilmente il killer nel burrone della pena senza fine. Più passa il tempo e più sembra emergere un piano diabolico, studiato a tavolino, per radunare ed eliminare le persone con cui l'immobiliarista aveva un conto in sospeso. Non si capisce infatti perché chiamare come teste della difesa, nel processo in cui era imputato per bancarotta, l'avvocato Lorenzo Claris Appiani, con cui aveva rotto. Non solo. Anche il commercialista Stefano Verna, ferito ma sopravvissuto all'agguato, avanza in un'intervista al Corriere della sera gli stessi dubbi: «Mi aveva chiamato come teste a suo favore ma non avevo niente da dire in sua difesa».

Non sarà facile smontare o almeno rendere meno cupo il profilo del mostro, ma qui si valuterà il peso specifico del penalista di lungo corso. Che si muoverà su un altro binario infido e complesso: quello delle perizie psichiatriche poi date in pasto alla corte d'assise nazionale che sta seduta in poltrona col telecomando in mano. Si aspetta il nome di grido.

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