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L'azzardo di Renzi: non temo le urne. Ma i suoi lanciano segnali di pace

Il leader di Iv insiste: accordo su tutto o strappo. Accantona il rimpasto ma riapre il fronte Mes. Il partito però smorza i toni. Rosato: clima cambiato. Nobili: nessuno vuole urne anticipate

L'azzardo di Renzi: non temo le urne. Ma i suoi lanciano segnali di pace

Mollare? Passare la mano? E perché mai, sbotta a un certo punto Matteo Renzi, «siamo noi adesso ad avere le carte migliori». Chi «bluffa è Franceschini», che va in giro a dire che se c'è la crisi si va al voto, senza considerare che ne pensa Mattarella. Così però «Dario fa solo il gioco dei Cinque stelle: come tutto il Pd, ha paura delle elezioni». Italia viva invece no, sostiene l'ex premier. Anzi, è già pronto il tema forte per la campagna: niente sconti a chi non vuole prendere il Mes. Soldi che servono, e subito, alla nostra sanità. Un controbluff? Macché: «Voglio un accordo su tutto, non riusciranno a mettermi nell'angolo».

Una martellata al giorno, scientifica, finché Giuseppe Conte non cede: o accetta le condizioni di Iv, o si fa da parte. O molla un po' di potere e «condivide», oppure arrivederci e grazie, nemici come prima. Oggi alle 11 l'incontro a Palazzo Chigi, dove si parlerà di Recovery e di tanto altro: e questa seconda tornata di vertici viene considerata una prima vittoria. «Registriamo un fatto nuovo - commenta Ettore Rosato - qualcosa è cambiato». Nel pacchetto delle richieste, giura Renzi, non c'è, o non c'è più, il rimpasto. «Queste sono piccole polemiche - spiega in un video diffuso sui canali social - La gente ci domanda: perché state litigando? Noi in realtà stiamo discutendo di come affrontare al meglio l'emergenza Coronavirus. Non si può continuare a ripetere che va tutto bene e a colpevolizzare i cittadini, l'Italia è purtroppo il Paese europeo con il più alto numero di morti». Di fronte a questo disastro, «noi chiediamo di mettere più soldi nella sanità». Come? Semplice. «Con il Mes, 36 miliardi di euro per i nostri ospedali, dottori, studenti. Prendiamoli subito e giriamo i 9 miliardi del Recovery fund, originariamente dedicati alla sanità, alla cultura e al turismo, argomenti di cui nessuno parla. Lega e Cinque stelle dicono di no perché sono populisti e antieuropei, come al tempo del Conte I». Conte II, se spera di restare a Palazzo Chigi, dovrà imporsi.

E se bisognerà combattere, meglio farlo per una nobile causa che per un giro di poltrone. Del resto, precisa Rosato, «il tema della struttura dell'esecutivo è già stato archiviato dal presidente del Consiglio». È davvero così? Il rimpasto è sparito, evaporato? O soltanto tatticamente accantonato? Per Italia viva non sarà comunque una trattativa facile. Conte avrà pure cominciato a cedere, organizzando un nuovo valzer di consultazioni con le forze di maggioranza, però attenzione, avverte Renzi, non può pensare di «annacquare la verifica» con una girandola di incontri. «O si trova un accordo su tutto - dice ai suoi - o per me non c'è nessun accordo. Pensano di chiudermi in un angolo, ma con me non ce la fanno». La palla ora è nel campo del premier, Iv aspetta risposte e considera ridicola la minaccia di andare a votare. «Bisogna rispettare il presidente Mattarella, l'unico che ha titolo per indicare la via».

Non tocca certo al Pd, sostiene Luciano Nobili. «Un partito pieno di contraddizioni e di persone che la pensano in modo diverso. Franceschini sa benissimo che in caso di crisi spetta al Quirinale decidere. Il capo dello Stato verificherebbe se esiste in Parlamento una maggioranza, e secondo me si troverebbe, perché nessuno vuole andare alle urne». Tanto meno Italia viva, par di capire, al di là di tutto. «Se si apre una crisi - dice il sottosegretario agli Esteri Ivan Scalfarotto - si applica la Costituzione e tutto finisce nelle mani di Sergio Mattarella, uomo saggio e esperto. Sarà lui a valutare se il Parlamento va sciolto, non Franceschini o io».

Ma, aggiunge, «stiamo attraversando un evento, una pandemia, che finirà nei libri di storia: se il governo non si dimostra all'altezza, se non ingrana una marcia diversa, si passa la mano a un altro governo».

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