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"Un leader non può nascondersi dietro il silenzio. Forse ha capito che la sua corsa è tutta in salita"

Il politologo: "Si è dimostrato un tecnico che si muove male in un contesto politico. Con lui capo dello Stato sarebbe il commissariamento della vita pubblica italiana"

"Un leader non può nascondersi dietro il silenzio. Forse ha capito che la sua corsa è tutta in salita"

«Chi ricopre la massima carica politica non può alzare un muro così rigido e rifiutarsi di rispondere a domande politiche. Un leader non può dire di questo non parlo. Questa è l'anomalia dei tecnici che si ritrovano a gestire la politica, anche Draghi, che pure ha una grande esperienza, dimostra di muoversi male nel contesto politico». Una situazione che, secondo il politologo Alessandro Campi, ha dell'«imbarazzante».

Nel senso che Draghi è attivamente in campo per il Quirinale ma non si può dire?

«Per certi aspetti è una consuetudine che i candidati al Colle non si dichiarino apertamente ma che lavorino dietro le quinte. Quella del capo dello Stato un'elezione fatta di ammiccamenti, silenzi, tatticismi. D'altro canto con tutta la pressione che si è creata sul suo nome, da mesi, tutti si aspettano che Draghi qualcosa la dica. Sarebbe una violazione di un costume antico, ma nella particolare situazione in cui ci troviamo sarebbe risolutiva. Invece il premier si è trincerato in una prudenza che rasenta, appunto, l'imbarazzante».

Cosa teme il premier, di bruciarsi da solo?

«Forse ha capito che non c'è tutta questa volontà, da parte delle forze politiche, di sostenere realmente la sua candidatura al Quirinale. Quando nella scorsa conferenza stampa aveva detto una frase che era stata letta come una sua disponibilità a salire sul Colle, in molti - vedi Salvini - lo avevano invitato a rimanere dov'è e togliersi dalla testa di diventare capo dello Stato. Da quel momento deve aver pensato che fosse meglio non dire nulla sull'argomento».

Ma il presidente del Consiglio aspira al Colle?

«Lui ovviamente si ritiene in corsa. Il fatto stesso di non aver voluto parlare del Quirinale è la prova che Draghi ci punta. Però è in difficoltà. Ha fatto un elenco di emergenze legate alla pandemia che dovranno essere affrontate, della scuola da mantenere in presenza, al Pnrr, e che certo non saranno risolte nei prossimi 14 giorni, e quindi potranno richiedere ancora la sua presenza a Palazzo Chigi. Credo che Draghi stesso si sia reso conto che la partita del Quirinale per lui è tutta in salita. Si è reso conto che più ci sia avvicina a quella data più l'unanimismo che si era creato attorno alla sua figura viene meno. E poi che sono venuti fuori nodi politici molto seri».

Ce li dica.

«Bé, sarebbe il primo caso nella storia d'Italia di premier che diventa capo dello Stato. Questo rappresenta una anomalia. L'altro problema è che il passaggio di Draghi al Quirinale equivarrebbe ad un commissariamento della vita politica italiana. A quel punto anche il risultato delle prossime elezioni politiche non sarebbe decisivo perché tanto sarebbe sempre Draghi il grande regista della vita pubblica in Italia, sarebbe sempre lui dal Quirinale a dare la carte. Ci continuiamo a ritenere un paese ingovernabile che ha bisogno del salvatore di turno per legittimarsi di fronte ai poteri internazionali, ogni volta riproduciamo lo stesso schema. Siamo l'unica democrazia occidentale che, di fronte alla pandemia, ha deciso di commissariare il proprio sistema politico.

Senza renderci conto che così ci presentiamo da soli come un paese fallito».

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