L'economia è già infettata: baratro recessione in vista

Si rischia di perdere 27 miliardi: dall'1 al 3% di Pil E fa tremare pure la frenata della manifattura in Cina

L'economia è già infettata: baratro recessione in vista

Se lasciati soli, non ce la faremo. L'Italia non è in grado di assorbire con forze autonome l'impatto economico del coronavirus. Il ritmo sincopato delle attività produttive, quel mutare di abitudini sociali e il rarefarsi dei consumi rischiano di diventare il new normal, una forma di adattamento che impone costi altissimi. Lo si capisce dalle ultime previsioni, che cancellano le sottovalutazioni del fenomeno circolate fino a pochi giorni fa e portano il Paese dritto sul binario della recessione. Quelle diffuse ieri dal Ref Ricerche, l'istituto che lavora a braccetto con l'Ufficio parlamentare di bilancio quando vanno validate le proiezioni macroeconomiche del governo, offrono uno scenario cupo, con ombre sinistre sul primo e secondo trimestre, quando la perdita di Pil oscillerà tra i 9 e i 27 miliardi di euro. Una mazzata per l'economia, traducibile in una contrazione complessiva del prodotto lordo fra l'1 e il 3%.

L'ampiezza della forbice previsionale si spiega con l'incertezza che ancora grava sull'evolvere dell'epidemia e sulle misure - sanitarie ed economiche - che saranno messe in atto per contrastarla. Lo scenario meno sfavorevole incorpora un calo dei casi di contagio con la stagione primaverile e l'eventualità di progressi nelle ricerche per la produzione di un vaccino; quello più negativo contempla invece un'estensione dell'epidemia a un numero crescente di Paesi, tale da estendere i blocchi produttivi e aumentare il numero delle filiere che andrebbero incontro a un azzeramento delle scorte di semilavorati.

La rapidità nell'agire e l'entità dello scudo necessario a proteggere il tessuto produttivo saranno fondamentali per limitare almeno i danni. Soprattutto in Lombardia e Veneto, le due regioni che contano per il 31% sulla ricchezza nazionale e dove maggiori sono stati i casi di contagio e più drastiche le misure di contenimento. Il Ref ricorda come, aritmeticamente, una contrazione del 10% del Pil in sole queste due regioni si rifletta in una diminuzione del 3% di quello per l'intero Paese.

Certo, il dato generale finisce per oscurare realtà differenti, dove il Covid-19 non solo non avrà ripercussioni, ma porterà benefici. La farmaceutica gioca tutt'altra partita rispetto ai settori industriali più tradizionali, così come il turismo e il lusso non possono tenere il passo di seguenti in forte consolidamento come l'e-commerce, lo smart working e le video-conferenze, ora agevolate dal diffondersi dell'epidemia. Il problema è il peso esiguo (circa l'8,5% del Pil) di queste realtà, incapace di controbilanciare le situazioni di sofferenza in quei comparti - soprattutto industriali - già in sofferenza a causa del rallentamento della crescita in Cina. Una frenata destinata a proseguire: la manifattura del Dragone è in collasso da coronavirus (indice Pmi a 35,7 punti in febbraio, distante anni luce da quota 50, la linea di demarcazione fra crescita dell'attività e contrazione) e l'espansione 2020 del Paese non dovrebbe andare oltre il 4 per cento. Cattive notizie per tutti, non solo per Pechino.

I mercati finanziari, che hanno fatto scorta di bad news nella peggior settimana dal crac di Lehman Brothers, con Piazza Affari che ha perso oltre l'11% e con i principali indici scivolati in correzione tecnica, aspettano segnali da parte delle banche centrali.

Sotto forma di un intervento coordinato o, in subordine, di un taglio dei tassi da parte della Federal Reserve. Un'eventuale fumata nera potrebbe innescare domani, alla riapertura delle Borse, un'altra seduta da profondo rosso. Bruxelles, intanto, continua a tacere: di un piano di emergenza neanche l'ombra.

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