Con il coronavirus non ancora debellato e con le probabili ripercussioni sull'economia globale causate dall'epidemia, i bassi tassi d'interesse rischiano di diventare un boomerang che colpisce chi lo ha lanciato. Federal Reserve e Bce lo sanno da tempo, e ora lo ammettono: «In caso di crisi, non abbiamo munizioni sufficienti per combatterla». Quasi in un esercizio di copia-incolla delle parole pronunciate pochi giorni fa dalla numero uno dell'Eurotower, Christine Lagarde, il presidente della banca centrale Usa, Jerome Powell, ha ricordato ieri davanti al Congresso che «l'attuale politica monetaria può limitare la capacità delle banche centrali di ridurre i tassi a sufficienza per sostenere l'economia durante una recessione». Una stoccata indiretta a Donald Trump, che a più riprese aveva sollecitato un azzeramento del costo del denaro, ma soprattutto una nota di marcata preoccupazione per l'assenza di mezzi di contrasto se lo tsunami economico che sta investendo il Dragone dovesse varcare la muraglia cinese. Alcuni studi hanno infatti stimato che per raddrizzare una piega recessiva occorrono almeno tassi fra il 4 e il 5%, una percentuale lontana anni luce dai valori attuali dei principali istituti di emissione.
Le politiche lasche degli ultimi anni, il cui alfa va ricercato nella reazione - del tutto legittima - avuta ai tempi del colera finanziario da mutui subprime, potrebbero quindi presentare un conto salato nei prossimi mesi. Che finirebbe per essere fatto pagare a chi, non trovando sponda nella politica, ha trasformato misure d'emergenza in una risposta fisiologica alla scarsa crescita. La Lagarde ha già fiutato il pericolo. È a lei che rischia di restare in mano il cerino acceso. Non a caso, l'ex capa del Fondo monetario internazionale ha sottolineato ieri in un intervento all'Europarlamento come la politica monetaria non possa essere «only game in town», cioè la sola panacea contro tutti i mali economici. Serve altro, a cominciare dal contributo di chi legifera e di chi governa tenendo come stella polare «le politiche di bilancio e le riforme strutturali».
Ora, sembra dire la Lagarde, non è più il momento di girare la testa dall'altra parte: lo stimolo monetario «ha sostenuto la crescita», ma «più a lungo restano le nostre misure, più sale il rischio che gli effetti collaterali diventino più pronunciati». Vale a dire, un impatto negativo sui risparmi e sui prezzi delle case, oltre all'assunzione di rischi eccessivi da parte dei mercati.
La scarsa, o nulla, risposta data negli anni dalla politica è il lato carente di cui Mario Draghi si era sempre lamentato durante il proprio mandato. Al di là delle mancate riforme strutturali, mattoni fondamentali come l'unione bancaria e l'unione del mercato dei capitali non sono mai stati posati. Così come è rimasto finora lettera morta, per i veti incrociati di molti Paesi, quel bilancio comune che doveva essere l'ammortizzatore in caso di choc economici.
Un tassello mancante di cui potremmo presto pentirci se il corona virus, dall'ambito medico-sanitario, sconfinerà in quello economico senza che le banche centrali possano sparare un solo colpo per difenderci dal peggio.
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