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Lega, dal "No euro" all'idea Ppe "E ora usiamo bene i fondi Ue"

La svolta europeista del Carroccio guidata da Giorgetti. Cade anche il tabù degli aiuti, il sì al Recovery Fund

Lega, dal "No euro" all'idea Ppe "E ora usiamo bene i fondi Ue"

Passare dalle magliette «Basta uro» al Ppe con la Merkel e la von Der Leyen non sarà un'operazione da strombazzare nei comizi, ma è una manovra che segue una strategia più sottile rispetto alla propaganda da piazza. Dietro infatti c'è la regia di Giancarlo Giorgetti, uno degli esponenti della Lega di testa più che di pancia, attenta più che ai follower sui social, ai «like» che contano per davvero, quelli dell'establishment internazionale indispensabili per accreditarsi come forza di governo e preparare il terreno per una premiership di Salvini. La necessità di un riposizionamento geopolitico del Carroccio, dal sovranismo euroscettico filo-Putin ad una destra incardinata nei valori del conservatorismo europeo e filo-atlantica, bolliva da tempo nel pentolone salviniano. Ma serviva un detonatore per metterla in moto, e lo è stato il risultato non del tutto soddisfacente delle regionali. A cui si è aggiunto un incidente, l'astensione del gruppo europarlamentare della Lega sulle sanzioni per il dittatore bielorusso Lukashenko, che ha fatto molto irritare Giorgetti e, di riflesso, convinto anche Salvini che fosse l'ora di ricalibrare la convergenza alle ruote del Carroccio. Così da una settimana l'ala moderata della Lega (in cui rientra Zaia, il vero vincitore delle elezioni in casa Lega) ha ripreso quota e vigore nel dettare le scelte strategiche per i mesi a venire. Il primo passo, raccontato da un retroscena della Stampa, sarebbe appunto abbastanza clamoroso, l'ingresso della Lega nel Ppe, se s pensa che solo pochi giorni fa Salvini battibeccava con Manfred Weber, presidente del Partito popolare europe a Bruxelles («I colleghi del Front National, Syriza e Salvini non facciano le marionette di Putin» l'attacco di Weber, «si occupi di Germania come io mi occupo di Italia» la risposta di Salvini). Eppure stando agli eurospifferi, la truppa dei deputati europei leghisti (29) sarebbe pronta a uscire dal gruppo Identità e democrazia, dove siedono i lepenisti del Front National e i nazionalisti euroscettici tedeschi di Alternative für Deutschland, per preparare l'approdo verso il Ppe. Una transizione che, in Italia, è sempre stata auspicata da Forza Italia, ma su cui la Lega ha sempre chiuso le porte. Basti pensare che il presidente del gruppo dei sovranisti al Parlamento Ue è proprio un leghista, Marco Zanni, ex grillino su posizioni anti-euro e anti-Draghi (l'uomo che invece Giorgetti vedrebbe bene come premier di un governo di salvezza nazionale). Veti insormontabili? «Non ci sarebbero, il Ppe ha diverse anime, formalmente ne fa parte anche Orban, ci sarebbe spazio certamente anche per la Lega di Salvini una volta messo da parte l'antieuropeismo. Anzi sarebbe una novità positiva, al Ppe serve una scossa» spiega Massimiliano Salini, eurodeputato azzurro.

L'altro tassello della svolta europeista della Lega riguarda i soldi europei. Se sul Mes è ancora troppo presto per cambiare posizione (ma i governatori leghisti sarebbero felici di portarlo a casa), sul Recovery Fund invece la Lega è pronta a collaborare sui progetti di investimento in cui incanalare i 209 miliardi in arrivo dalla Ue. Quello che fino a pochi mesi fa Salvini definiva «una fregatura grossa come una casa, è un super Mes», è diventata un'opportunità da non sprecare anche per la Lega. Anche qui fa testo Giorgetti, che ha invitato a spostare il dibattito «sull'uso dei fondi del Recovery fund, si è parlato troppo della richiesta dei soldi e poco di cosa si fa con quei soldi. Io voglio fare debito buono, come dice Draghi».

E se la Lega passa da Borghi e Bagnai a citare come modello Draghi, significa un cambio non da poco.

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