«Chi produce vino dovrebbe astenersi dal farlo solo perché poi ci sarà gente che si ubriacherà? Fosse questo il metro di giudizio, dovrebbero chiudere anche i tabaccai, per scongiurare l'insorgere dei problemi legati al fumo, o i commercianti, per prevenire lo shopping compulsivo». Ad ogni tintinnar di manette che scuota il mondo del gioco, il telefono di Matteo Marini diventa rovente. Tutti a chiamare il presidente dell'Associazione dei concessionari di apparecchi da intrattenimento, aderente a Confindustria, per sapere se non sia il caso di alzare bandiera bianca e darla vinta ai sostenitori del proibizionismo.
In Calabria, e non solo, scommesse e slot in mano ai clan. Hanno ragione quelli che vorrebbero vietare tutto?
«C'è molta confusione in giro. Si scambia il gioco illegale con quello autorizzato. In realtà, alle forze dell'ordine va un plauso per aver contribuito a tutelare la collettività ma pure le aziende che operano nella legalità. È la riprova che il sistema concessorio va salvaguardato».
Eppure, in diverse regioni si punta a mettere al bando il gioco...
«Là dove sono state adottate norme espulsive o eccessivamente restrittive del gioco legale, e penso alle leggi introdotte dalla Provincia di Bolzano o dalla Regione Lombardia, sono subito emersi fenomeni illeciti. I divieti non sono la soluzione».
I proibizionisti sono condannati alla sconfitta?
«La domanda di gioco è forte: in Italia su 44 milioni di adulti in 20, quasi un italiano su due, si concedono almeno una giocata all'anno. Ignorare la realtà significa favorire l'illegalità».
Chi vi osteggia solleva anche questioni etiche. Si sente almeno un po' peccatore?
«La dipendenza da gioco esiste, come esiste quella da droga o da alcool. Il problema va trattato studiando le dimensioni e le cause del fenomeno, per mettere in pista misure di sostegno. Noi curiamo la formazione dei nostri addetti di sala, perché siano in grado di riconoscere i soggetti a rischio. Inoltre, abbiamo istituito un numero verde, l'800.921.121, per offrire assistenza a persone in difficoltà per il gioco ed ai loro familiari».
Nulla da rimproverarvi, nemmeno in termini di trasparenza?
«Gli esercenti sono controllati, telematicamente e sul territorio. I loro curriculum sono passati letteralmente ai raggi x. È vero il contrario: il settore è estremamente regolamentato, in alcuni casi con norme tra loro in contrasto».
Preferireste libero gioco in libero Stato?
«No. Al contrario, v'è necessità di un sistema normativo unico, con uniformità della tassazione, pure per evitare effetti distorsivi della concorrenza in un comparto formato da migliaia di aziende che danno lavoro a più di 110mila persone e che consentono all'Erario di incassare, in tasse, quasi 5 miliardi».
Il Governo aveva promesso di intervenire. Com'è finita?
«Nella delega fiscale era stata riservata attenzione a questi argomenti.
Il decreto attuativo che avrebbe dovuto essere emanato entro il 30 giugno non ha però visto la luce, nonostante l'impegno del sottosegretario Baretta. Non avrebbe risolto e questioni aperte, ma avrebbe fornito un indirizzo univoco, che continua a mancare».
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