La "legge di Dio" nel mondo, le esecuzioni e le violenze: ecco perché non ci si può fidare

"Onestamente mi sento sicuro. Forse non durerà, ma per ora è così. Se escludi l'aeroporto la situazione qui a Kabul è tranquilla. Le perquisizioni casa per casa di lunedì mattina si sono concentrate in tre quartieri"

La "legge di Dio" nel mondo, le esecuzioni e le violenze: ecco perché non ci si può fidare

«Onestamente mi sento sicuro. Forse non durerà, ma per ora è così. Se escludi l'aeroporto la situazione qui a Kabul è tranquilla. Le perquisizioni casa per casa di lunedì mattina si sono concentrate in tre quartieri e sono state subito bloccate dai capi talebani. Oggi sono persino ricomparse le donne in Tv. Ripeto non so quanto durerà, ma per ora non ho paura». Così scriveva ieri da Kabul l'amico Tareq, confermando la sensazione di apparente sicurezza che molti nella capitale afghana ammettono di condividere. Una sensazione rafforzata dalla conferenza stampa in cui il portavoce dei talebani Zabihullah Mujahid ha escluso vendette su «chi ha lavorato con gli stranieri». Aggiungendo l'impegno a garantire la «sicurezza di ambasciate e ong» e riservare alle donne «un ruolo nell'istruzione e nella sanità» seppur «nel quadro della sharia». Ma in Afghanistan le sensazioni fanno presto a dissolversi.

Lo ricorda bene chi nel 1996, salutò con entusiasmo l'arrivo dei talebani a Kabul. Allora gli studenti islamici -arruolati nelle scuole islamiche pakistane e armati dai servizi segreti di Islamabad- imposero ordine e stabilità in un paese vessato dalla miriade di gruppi armati e signori della guerra che -ritiratisi i sovietici- si contendevano il potere a colpi di minacce ed estorsioni. In pochi mesi, però, gli orrori delle mutilazioni rituali e delle esecuzioni sommarie -accompagnate da lapidazioni e pubbliche flagellazioni- finirono con il cancellare l'illusione di stabilità rimpiazzandola con il terrore.

Oggi la storia sembra ripetersi. Il primo indicatore è la rapidità con cui i talebani hanno ripristinato l'Emirato Islamico, la stessa forma statuale inaugurata venti anni fa. Una restaurazione non soltanto simbolica. Dietro quel nome si cela il sogno di un sistema ispirato ai concetti della «sharia». Il tutto senza che uno solo dei leader talebani -dall'invisibile capo supremo Haibatullah Akhundzada fino al mullah Baradar- abbia fin qui proposto un'interpretazione della legge coranica diversa da quella usata per giustificare l'emarginazione delle donne, la lapidazione delle adultere e l'utilizzo degli attentatori suicidi. E infatti, mentre Kabul si consola con l'apparente moderazione dei talebani 2.0, dalle province più remote arrivano i resoconti dei rapimenti di decine di ragazzine appena dodicenni strappate alle famiglie vicine all'ex-governo. Mentre su internet circolano i video dello sgozzamento di 22 soldati arresisi, a giugno, agli islamisti nella città di Dawlat Abad. E non rassicura neppure la svolta di un movimento che nel 1995 distruggeva radio e tv, mettendo al bando canti e balli, mentre oggi utilizza con maestria social e telefonini.

Per capirlo basta ricordare quanto già visto in Siria e Iraq dove lo Stato Islamico abbinava l'intransigenza delle decapitazioni seriali ad una raffinata comunicazione per immagini ispirata al linguaggio delle serie tv. Del resto gli stessi talebani che oggi promettono di escludere dal proprio territorio i gruppi pronti a «minacciare altri paesi» non hanno esitato sabato a rimettere in libertà migliaia di militanti di Al Qaida e dello Stato Islamico detenuti delle carceri di Bagram e Pul-I- Charky. Terroristi pronti fin da ora a usare l'Afghanistan come loro base.

Per

capire come nulla sia cambiato bastano le dichiarazioni di quel capo talibano che, intervistato dalla Cnn, auspica di continuare ad impugnare il kalashnikov «fino a quando la legge del Corano dominerà il resto del mondo».

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