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La legge a favore degli editori che può danneggiare l'editoria

La normativa sul copiright allo studio del Parlamento Ue e che dovrebbe proteggere l'editoria è al centro di polemiche. Ecco cosa si rischia

La legge a favore degli editori che può danneggiare l'editoria

Una rete di contenuti condivisi e interconnessi tra loro. È la base del world wide web. In cui spesso la fanno da padrone pochi grandi colossi, come Google e Facebook.

Quante volte le autorità a vari livelli hanno provato a limitare il loro strapotere, soprattutto evitando che sfruttino stratagemmi e buchi normativi che permettano di far soldi - e non pagare le tasse - a discapito degli altri attori della rete? Ora il Parlamento europeo ha messo a punto una nuova normativa e che ha come obiettivo quello di colpire le piattaforme che "pubblicano contenuto protetto da copyright facendo soldi con i clic senza dare il minimo contributo", come ha spiegato il relatore della legge, il tedesco Axel Voss.

Una riforma in difesa soprattutto delle testate giornalistiche che - pur non essendo ancora stata votata - ha già sollevato un polverone. A far scoppiare il caso è stata Wikipedia Italia che vive dei contributi scritti da altri e che da un paio di giorni si è autosospesa per portare alla luce i rischi che le nuove norme, se confermate, comporterebbero per le libertà di espressione.

Ma cosa prevede la riforma del diritto d'autore che sarà votata domani dalla plenaria del Parlamento Ue? Gli articoli finiti sotto accusa sono l'11 e il 13.

Il primo prevede che "le piattaforme online che pubblicano link o snippet (l'estratto di una pagina web con titolo e descrizione, ndr)" a "pubblicazioni di carattere giornalistico" (quindi articoli e contenuti multimediali pubblicate da testate) a chiedere l'autorzzazione a chi ne detiene il copyright (gli editori) che potrà chiedere un compenso, sul modello della link tax spagnola. L'esempio più calzante è quello di Google News, aggregatore di notizie che mostra gli estratti degli articoli a cui rimanda. Ma anche la stessa ricerca di Google o le pagine Facebook rientrano in questa casistica.

Il secondo articolo contestato - quello più fumoso - riguarda più in particolare le piattaforme che si basano sul contenuto generato dagli utenti (il cosiddetto user generated content), come YouTube o proprio Wikipedia (anche se l'Ue ha precisato che è esclusa dalla normativa perché non a fini di lucro). In questo caso, la legge prevede che ci siano misure e meccanismi che permettano di tutelare chi detiene il diritto d'autore. Il che nella pratica è stato interpretato come una sorta di controllo preventivo che eviti la pubblicazione di materiale coperto da copyright.

Ma così scritta la riforma comporta diversi rischi. Non solo per Wikipedia o più in generale per la libertà di espressione, ma anche per gli stessi editori che il Parlamento europeo vuole tutelare.

Pensiamo al primo articolo e prendiamo un caso specifico che conosciamo bene: quello de ilGiornale.it. Ad oggi circa il 60% dei nostri lettori arriva sulle nostre pagine attraverso una ricerca su Google. E questo non vuol dire solo chi cerca una notizia in particolare, ma anche chi digita "ilGiornale" sulla barra del motore di ricerca. Un altro 20% arriva attraverso i link che vengono condivisi sui social, Facebook in primis. Né Google, né Facebook, né altre piattaforme pagano per rimandare alle nostre pagine, ma permettono ai nostri contenuti di circolare, arrivando a un pubblico più ampio.

Con la nuova normativa - se venisse approvata così come è scritta, lo ripetiamo - gli scenari potrebbero essere diversi. Le piattaforme potrebbero ad esempio chiedere ai produttori di contenuti che vogliono apparire nelle ricerche di firmare un'autorizzazione di cessione di diritto a titolo gratuito. Oppure potrebbero obbligare i siti a passare da "instant article" e "amp", il sistema che permette all'utente di leggere un articolo senza uscire dalle pagine che sta navigando. Il risultato? Una bella fetta della raccolta pubblicitaria (con cui campano gli editori) finirebbe nelle tasche dei colossi. Oppure potrebbe succedere - come già accaduto in passato in Spagna e Germania - che Google limiti il suo servizio. E se invece decidessero di pagare solo gli editori più grandi, non indicizzando ad esempio blog e piccole testate? Sarebbe un bel limite alla libertà di espressione che da sempre contraddistingue il web.

Un tema caro anche al Garante europeo per la privacy, Giovanni Buttarelli, secondo cui "più che l'accesso al diritto all'informazione qui c'è un problema di possibile impatto sulla completezza dell'informazione e delle fonti di informazione". "È inaccettabile che il sistema dei media stia dipendente dalle piattaforme", ha tuonato oggi Voss. Certo, ma non è facendo finta di azzerare questa dipendenza che si risolve il problema. E - anzi - il rischio palese è che in questo modo si dia il coltello dalla parte del manico proprio a quei colossi che si volevano regolamentare.

Anche l'articolo 13, tra l'altro, comporta pericoli per le testate giornalistiche. È vero che si parla di piattaforme di user generated content e fornitori di servizi, ma non è ben chiaro quali soggetti vengono esclusi. Un sito come il nostro che permette a tutti gli utenti registrati di commentare verrà in qualche modo intaccato da questa normativa? Cosa succede se un nostro lettore decide di incollare in un commento un intero articolo o anche solo un estratto di un altro editore?

Quello dell'editoria online e del diritto d'autore è un tema importante e complesso.

La riforma è allo studio ormai da anni, ma forse necessita di un dibattito più ampio fuori dal Parlamento europeo.

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