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L'elefante Bolsonaro nella cristalleria di Davos: "La sinistra non vincerà"

Il presidente non rinuncia ai toni populisti: «Io l'uomo giusto, sarà un grande Brasile»

L'elefante Bolsonaro nella cristalleria di Davos: "La sinistra non vincerà"

Per Jair Bolsonaro è stato il battesimo del fuoco nel mondo che conta, quello della politica e dell'economia internazionali dopo che lo scorso 1 gennaio, alla cerimonia del suo insediamento come nuovo presidente del Brasile, sono venuti in molti a stringergli la mano, a partire dal premier israeliano Netanyahu.

Stavolta al forum di Davos, primo viaggio all'estero da presidente, è stato lui a doversi fare largo tra gli altri speaker della giornata inaugurale, primo capo di Stato latinoamericano a prendere la parola, presentando come da lui stesso anticipato «un Brasile diverso». Ha scelto un discorso breve, forse anche troppo, appena 8 minuti, dove ogni virgola è stata ripassata cento volte dal suo staff per il timore di sfigurare davanti ad un parterre così potente. Bolsonaro non ha però rinunciato alla sua essenza populista e a quel religiosissimo «Deus acima de tudo - Dio al di sopra di tutto» che sta diventando quasi più famoso dello storico «Deus è brasileiro», in un discorso simile più ad un mega spot del Brasile che ad una descrizione reale degli enormi problemi che sta affrontando. «Investiremo pesantemente nella sicurezza - ha detto rivolgendosi alla platea - perché voi possiate visitarci con le vostre famiglie. Siamo uno dei primi paesi per le bellezze naturali. Venite a conoscere la nostra Amazzonia, le nostre spiagge. Il Brasile è un paradiso ma è ancora poco conosciuto».

Nessun riferimento agli oltre 63 mila morti ammazzati nel 2018 e all'emergenza sicurezza che da quasi un mese sta tenendo sotto scacco uno stato intero quello del Ceará, in balia delle fazioni criminali. Del Brasile reale l'ex capitano dei paracadutisti offre un'immagine quasi epica. Lui che si è ritrovato in mano un paese con una «profonda crisi etica, morale ed economica» ha trovato «l'uomo giusto» per vincere la corruzione, ovvero l'ex magistrato della mani pulite brasiliana Sérgio Moro, oggi ministro della Giustizia e della Sicurezza Pubblica. In questi pochi minuti svizzeri Bolsonaro, insomma, ha davvero sorpreso per la sua capacità di trasfigurare le critiche che pesano sul suo governo in virtù. È il caso per esempio dell'annosa questione della preservazione ambientale visto che a sostenere il suo governo c'è la lobby dei «ruralistas» favorevole al disboscamento dell'Amazzonia. L'ex militare ha dichiarato che il «Brasile è il paese che meglio preserva l'ambiente. La nostra missione è quella di avanzare nella compatibilità tra difesa dell'ambiente e della biodiversità con la crescita economica». Per poi dirsi convinto che «l'ambiente va di pari passo con le questioni sociali». Insomma da bravo imbonitore quale è Bolsonaro ha fatto un ingresso politicamente corretto nel gotha internazionale, quasi dicendo fra le righe che la sua cartolina postale è la calamita perfetta perché gli stranieri ci vengano ad investire. «Vogliamo diminuire la presenza dello stato ha detto» e «sosterremo la riforma dell'Organizzazione Mondiale del Commercio». Sul tema delle grandi riforme nazionali come quella pensionistica che rischia di diventare la via crucis del suo governo avrebbe volentieri glissato.

Ma nel question time ha ammesso che sì dovrà realizzarle. Basterà, allora, aver gridato anche a Davos che «non vogliamo un'America bolivariana» per renderlo immune da quella stessa delusione sociale che ha fatto cadere il PT di Dilma e Lula?

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