Guerra in Ucraina

L'emergenza ha spaccato in due l'Europa. C'è chi la subisce e chi ci guadagna

Se i Paesi privi di risorse come l'Italia stanno pagando le peggiori conseguenze della guerra, Norvegia, Olanda e Ungheria lucrano

L'emergenza ha spaccato in due l'Europa. C'è chi la subisce e chi ci guadagna

Quando scoppia una guerra, da che mondo è mondo, c'è chi la fa o la subisce (e magari ci muore) e c'è chi ci lucra. Quella scatenata in Ucraina da Vladimir Putin lo scorso 24 febbraio non fa certo eccezione: i morti e i feriti si contano a decine di migliaia, i profughi a milioni, i profitti di chi vende beni strategici a miliardi. Si arricchisce chi vende armi, ma soprattutto riempiono i forzieri gli Stati produttori di gas e petrolio in grado di rimpiazzare le forniture russe ora indesiderate in Europa. E fin qui c'è poco da obiettare: una volta avviato l'infernale meccanismo bellico, le ragioni della necessità diventano prioritarie.

Ciò che semmai dovrebbe far riflettere sono i criteri di giudizio eterogenei che nel nostro ambito europeo e atlantico, che si vuole coeso di fronte a una sfida russa che punta a spaccare il fronte occidentale, vengono adottati rispetto a questi eventi.

Se parliamo ad esempio di forniture di gas, c'è modo e modo di trarre vantaggio dalla scelta di Putin di usare la forza. Il leader russo speculava sulla debolezza politica degli europei, sulla loro divisione di fronte al rischio di subire il suo ricatto energetico. Sbagliava, ma una serie di contraddizioni si sono comunque prodotte. Perché c'è appunto una guerra, e c'è chi subisce e chi lucra.

Ucraina a parte, in Europa è ben evidente chi sta subendo: sono i Paesi privi o carenti di risorse energetiche e che per insipienza o altro si sono legati mani e piedi ai gasdotti russi. Perfino chi dispone di centrali nucleari in abbondanza, come la Francia, deve tirare il freno, non parliamo di chi si affida alle utopie ecologiste (è il caso tedesco) e quelle centrali le spegne o di chi e questi siamo noi si è autoaffondato con un mix suicida fatto di no nuke, no triv, no Tap e no Libia.

Chi lucra, a oggi, sono i «frugali» partner olandesi, che ormai da anni non sono più produttori di gas ma che sono ben lieti di ingrassare sulle speculazioni nell'astruso mercato internazionale del settore con sede ad Amsterdam.

Uscendo dall'Unione europea, c'è un altro Paese europeo che si guarda bene dall'accettare la richiesta di noi disperati, italiani e non solo, di imporre un tetto al prezzo del gas. È la Norvegia, che grazie al taglio dell'import dalla Russia è diventata fornitore privilegiato dei vicini del Sud. Non a prezzi da amici, però: eppure Oslo è membro della Nato (di cui esprime nella persona di Jens Stoltenberg il segretario generale) e almeno sulla carta dovrebbe avere a cuore il valore della solidarietà. E invece no: preferisce puntare al massimo profitto, come se ne avesse bisogno essendo già uno dei Paesi più ricchi del mondo proprio grazie ai suoi immensi giacimenti di idrocarburi, che punta anzi a incrementare investendo in nuove prospezioni sottomarine. La Norvegia dunque lucra, sorda a ogni richiesta di limitarsi. E per restare in ambito Nato non Ue, lucrano alla grande gli alleati americani, che ormai ci vendono in forma liquefatta - più gas dei russi (del resto Putin se l'è voluta). Infine, c'è il caso Ungheria. Il Paese governato da Viktor Orbàn, l'astuto amicone dello «zar» che dall'Europa prende senza mai dare, nel magico nome dell'interesse nazionale. Orbàn ostacola le sanzioni a Mosca e Putin lo ripaga con generose forniture di gas. Le quali sanno di oltraggio ai partner europei di Budapest, e giustamente Bruxelles esecra.

Ma diciamo la verità: se fosse altrettanto severa con i furbetti olandesi e i fratelli in armi norvegesi, sarebbe più credibile.

Commenti