La lenta fine dei tamponi: chiudono i grandi hub "Basta test senza febbre"

Crollano casi e quarantene, i maxicentri per gli esami iniziano a essere dismessi. Zangrillo: "Normalità vuol dire piantarla anche con la psicosi della mascherina all'aperto". Gori: "È raccomandata"

La lenta fine dei tamponi: chiudono i grandi hub "Basta test senza febbre"

Milano. Omicron molla la presa sulla Lombardia, la regione d'Italia tra le più colpite sia nella prima quanto nella quarta ondata. Crollano i contagi e le quarantene e le conseguenti richieste di tamponi. Il report di monitoraggio nelle scuole di ogni ordine e grado nella regione tra il 31 gennaio e il 6 febbraio, registra un drastico calo dei contagi (-43 per cento) rispetto alla settimana precedente (24.992 rispetto ai 43.813) e del 60 per cento rispetto al periodo tra il 17 e il 23 gennaio. Dimezzati anche gli alunni in quarantena: 43.004 rispetto a 97mila.

Ecco il primo segnale concreto dell'uscita tanto attesa dal tunnel. Venerdì hanno chiuso gli hub di Trenno e di Rho Fiera a Milano, mentre da domani verranno rimodulati gli orari di accesso diretto agli altri punti tampone. Che chiudano i centri in Lombardia è un dato piuttosto significativo dal momento che solo due mesi fa, a dicembre, si macinavano 3,5 milioni test, pari al 21,5 per cento di tutti quelli somministrati in Italia (percentuale salita al 22,3 per cento nell'ultima settimana di dicembre) a fronte di una popolazione che è un sesto di quella italiana. Così nelle farmacie della Lombardia sono stati processati 6 milioni di test solo negli ultimi due mesi.

Appartengono a un passato piuttosto recente le scene di ordinaria follia con famiglie in code per ore al freddo nei principali hub di Milano, Roma e Napoli con tanto di risse sedate dall'intervento di Digos e vigili. O di farmacisti aggrediti, come a Perugia, a Civitavecchia e nel Monzese. Si è passati da quella che i virologi definirono la «psicosi da tampone» che aveva assalito i cittadini che si sottoponevano a test antigenici, fai da te e molecolari prima delle cene di Natale e degli incontri con i parenti e poi per feste di Capodanno e vacanze, a quella che ora viene definita la «psicosi da mascherina».

Se venerdì è decaduto l'obbligo di indossare le chirurgiche all'aperto, per strada si vedono ancora moltissimi lombardi con il volto coperto, addirittura 9 su 10 a Milano. «Tornare alla normalità vuol dire soprattutto piantarla di fare tamponi alla prima linea di febbre - riflette Alberto Zangrillo, prorettore dell'università Vita-Salute San Raffaele di Milano e direttore del Dipartimento di anestesia e terapia intensiva dell'Irccs ospedale San Raffaele -.Oggi a Milano 9 persone su 10 portano ancora la mascherina all'aperto e questo, per me, non è un segno di responsabilità ma di preoccupante psicosi collettiva, figlia dell'ignoranza, della disinformazione e dell'irrazionalità». Risponde piccato Andrea Gori, primario di Malattie Infettive dell'Ospedale Policlinico di Milano: «La raccomandazione di tenere le mascherine e altri dispositivi di protezione individuale al chiuso e nei luoghi affollati rimane valida. Oggi fortunatamente la situazione epidemiologica consente di stare senza mascherine all'aperto e di questo siamo tutti felici, ma da qua a dire che c'è una psicosi collettiva ce ne manca».

Altro segnale concreto di un ritorno alla normalità, lo smantellamento progressivo dei reparti Covid che consente di programmare la ripresa di tutte prestazioni negli ospedali. A Niguarda in settimana sono stai chiusi 3 reparti Covid su 9 e una terapia intensiva.

All'Asst dei Santi è stata chiusa la seconda rianimazione Covid, mentre si stanno progressivamente liberando gli altri reparti. Grazie al «ritorno» degli anestesisti riprende a pieno regime l'attività chirurgica, contratta negli ultimi due mesi.

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