Massimiliano Scafi
Roma E allora facciamolo questo benedetto ponte. «Non c'è ragione al mondo - dice Dario Franceschini - perché l'alta velocità si fermi a Salerno. Sarà difficile, sarà pure costoso, ci vorranno degli anni, ma i super treni devono arrivare a Catania e a Palermo. Tra Napoli, Pompei e i Bronzi di Riace il Mezzogiorno è pieno di bellezze, eppure ci va solo il 15 per cento del turismo internazionale». Perciò, spiega il ministro dei beni Culturali, azionista di maggioranza del Pd, «il Ponte di Messina si deve costruire». Peccato che il governo non riesca nemmeno a spostare un tubo, nel senso che il gasdotto Tap, dopo il via libera giudiziario, è stato di nuovo bloccato. Bombe, proteste, sindaci, nonne, mediazioni con il prefetto: risultato, buona parte dei camion con gli olivi espiantati sono tornati mestamente in cantiere.
È il solito problema dell'Italia schizofrenica, il film già visto di un Paese che vorrebbe crescere ma che viene rallentato e imbrigliato da duemila vincoli e ventimila poteri intermedi. Franceschini, ospite al forum della Confcommercio a Cernobbio, ne fa una questione di sviluppo strategico. «Nel Sud, con tutto il patrimonio culturale che ha, c'è una grave carenza infrastrutturale. Non arriva l'alta velocità, che invece deve raggiungere Catania e Palermo». Dunque serve il Ponte di Messina. «Il tema è rovesciato, il ponte deve essere al servizio dell'alta velocità, sarà un modo per sviluppare il turismo». La vecchia idea di Berlusconi, rilanciata da Renzi, sembrava finita di nuovo in un armadio polveroso. Adesso rispunta fuori. «Le mie sono proposte, non decisioni del governo», sostiene il ministro, che però dice di averne parlato più volte con Paolo Gentiloni.
Sembra un po' il libro dei sogni, soprattutto se paragonato a quanto succede sul campo. Dopo gli incidenti dei giorni scorsi e le due bombe carta di venerdì notte, alle cinque di mattina a Melendugno i mezzi della ditta incaricata da Tap sono entrati nel cantiere e hanno cominciato a lavorare. Colti di sorpresa i pochi attivisti di guardia hanno subito lanciato l'appello, chiamando a raccolta altri manifestanti. Alle nove le proteste si sono spostate nella zona di Masseria del Capitano, area di stoccaggio nella quale erano già stati impiantati 138 ulivi rimossi. Gli operai sono riusciti a trasportare una trentina di alberi, prima che la gente riuscisse ad organizzare un blocco stradale e fare prigionieri tre camion. Famiglie con bambini piccoli, persino una nonna con la nipotina di pochi mesi, studenti, cittadini di Melendugno, tutti a dare manforte al sindaco, Marco Potì, e agli altri amministratori dei paesini vicini accorsi con la fascia tricolore.
È finita in gloria, con un compromesso.
Dopo lunga trattativa, i tre camion stoppati a trenta metri dal sito di stoccaggio hanno potuto scaricare gli olivi, gli altri cinque hanno fatto marcia indietro. Restano da togliere solo altre 18 piante ma intanto i lavori per portare in Italia il gas dell'Azerbaigian sono fermi.
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