Letta smentisce il Pd sui migranti (e "arma" i trafficanti)

Il segretario del Pd volta le spalle alla missione iniziata da un esponente del suo partito nel 2017, quando l'allora ministro Marco Minniti ha stipulato un primo accordo con il governo di Tripoli

Letta smentisce il Pd sui migranti (e "arma" i trafficanti)

Enrico Letta ha deciso per una virata a 360 gradi della linea del Pd sui rapporti con la Libia. Su Twitter il segretario dem ha annunciato che il suo partito non voterà la mozione per il rifinanziamento della missione a sostegno della Guardia costiera libica.

“Abbiamo deciso oggi di non votare a favore del rifinanziamento della missione di sostegno alla Guardia costiera libica – si legge nel post pubblicato ieri pomeriggio – L'anno scorso avevamo votato con l'impegno ad un percorso di cambiamento. Questo impegno non si è poi realizzato”.

La scelta di Letta appare quantomeno curiosa. E questo per due motivi. Da un lato perché il primo accordo con la Guardia costiera libica è stato stretto nel 2017 dall'allora ministro dell'Interno Marco Minniti, ultimo esponente del Pd a sedere al Viminale. Dall'altro perché negli anni è stato lo stesso Pd a rinnovare il finanziamento, con la contrarietà interna espressa solo dalla corrente più a sinistra del partito, quella più vicina alle istanze di associazioni e Ong, spesso rappresentata da Matteo Orfini.

Una doppia sconfessione quindi e, dato politico più rilevante, una “vittoria” nel pieno della campagna elettorale della linea sposata dalla parte meno centrista del partito. Sul perché della giravolta Letta ha dato motivazioni relative all'attuale condizione della missione e ad impegni mai realizzati per un cambiamento della missione stessa e degli interlocutori libici.

Una storia lunga nata con il memorandum del 2017

Ma parlare degli accordi con la guardia costiera libica non significa solo toccare note di natura politica. La vicenda è molto più complicata rispetto a voti favorevoli o non favorevoli espressi in parlamento su un singolo decreto.

Tutto nasce, come detto in precedenza, con gli accordi stipulati dall'allora ministro Marco Minniti, a capo del Viminale durante l'esperienza a Palazzo Chigi di Paolo Gentiloni, a guida di un governo di centro-sinistra. Nel 2017 la situazione sul fronte migratorio era disastrosa. Se oggi, con quasi 40.000 migranti sbarcati da gennaio è possibile parlare di fronte vicino all'emergenza, all'epoca cifre del genere venivano sforate in appena due mesi.

Minniti, succeduto nel dicembre 2016 ad Angelino Alfano, ha quindi deciso di scendere a patti con Tripoli. In particolare, sono stati promessi ai libici soldi, mezzi e missioni di addestramento per dare modo alla locale guardia costiera di sorvegliare i confini. Un piano, a prima vista, ottimale per affrontare l'emergenza di allora.

C'è però una variabile da tenere in considerazione, ossia il fatto che la Libia non è un Paese in pace. Non lo era allora e non lo è adesso. Dalla caduta di Muammar Gheddafi nel 2011 i libici non hanno più avuto un governo unitario e né tanto meno hanno avuto uno Stato solido con un proprio esercito e con proprie forze in grado di controllare il territorio.

Dunque quel patto del 2017, propedeutico poi al memorandum d'intesa stipulato sul finire di quell'anno, ha generato non poche perplessità. È emerso il sospetto, in parte confermato da un'inchiesta della Reuters, che parte dei soldi italiani siano finiti in realtà nelle tasche di milizie armate operanti nei territori costieri. In poche parole, la diminuzione degli sbarchi riscontata successivamente potrebbe essere stata figlia della “conversione” di alcuni gruppi criminali, passati dall'essere gestori del traffico di esseri umani a controllori. Il Viminale ha sempre smentito questa ricostruzione, ma in ambienti politici il sospetto è sempre rimasto.

Per questo ogni anno non sono mai mancate polemiche al momento del rinnovo del finanziamento della missione nata cinque anni fa. Una questione non da poco: da un lato c'è la necessità di evitare un flusso migratorio come quello osservato tra il 2015 e il 2017, dall'altro il rischio di finanziare una guardia costiera ancora non pienamente formata e con al suo interno parte delle milizie libiche radicate sul territorio.

I rischi per l'Italia

A settembre si vota e il nostro Paese è in piena campagna elettorale. Per cui la scelta di Letta ha suscitato aspre polemiche. Secondo la Lega quanto fatto dal segretario dem è incomprensibile. “Letta svilisce il lavoro di addestramento dei nostri militari – ha spiegato la parlamentare del carroccio, Susanna Ceccardi – in particolare della Guardia costiera italiana, che hanno contribuito con tanto impegno e sacrificio alla formazione dei colleghi libici. Vuole veramente annullare ciò che fino a oggi hanno fatto le nostre Forze armate?”.

“La scelta di Letta – ha proseguito Ceccardi – punta a favorire l'immigrazione clandestina, lasciando in questo modo campo libero ai trafficanti di esseri umani e alle Ong, che nella maggior parte dei casi fungono da taxi del mare contribuendo a riempire l'Italia di clandestini”.

In ambienti diplomatici circola poi un altro timore. Se Roma decidesse di abbandonare gli accordi con Tripoli, potrebbero arrivare altri attori al suo posto.

A partire dalla Francia, con Parigi pronta a vendere i propri mezzi e a portare proprio personale di addestramento, e dalla Turchia, da tre anni oramai principale protagonista nello scacchiere libico.

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