Letta inchioda Draghi al governo: "L'emergenza non si è esaurita"

Il segretario allontana il voto nel 2023. Duro scontro con Calenda sulle suppletive

Letta inchioda Draghi al governo: "L'emergenza non si è esaurita"

Enrico Letta «stoppa» la corsa di Mario Draghi verso il Quirinale. Il segretario del Pd spinge per la proroga dello stato di emergenza e fissa nel 2023 (preoccupato per il naufragio del campo largo) la scadenza elettorale per il rinnovo del Parlamento. Sono due paletti nella scalata di Draghi verso il Colle. Bluff, strategia o specchietto per le allodole? Ma da ieri sulla strada verso il Quirinale, imboccata dal premier Draghi, c'è un ostacolo in più: Enrico Letta.

Se Palazzo Chigi, a poco più di due settimane dalla scadenza, non ha ancora deciso se prorogare o no lo stato di emergenza, il Pd è uscito allo scoperto: «Noi appoggeremo il governo nelle scelte che farà. Se per mantenere una situazione migliore degli altri Paesi Ue è necessario prorogare lo stato di emergenza noi saremo a favore della proroga. Se il Governo, dati alla mano, valuterà necessario prorogare lo stato d'emergenza, avrà sicuramente il nostro sostegno. Non vogliamo raggiungere con due settimane di ritardo gli altri Paesi nella crisi nella quale si trovano. Vogliamo rimanere nella situazione migliore rispetto agli altri» spiega Letta a margine di un dibattito sull'Ue a Firenze. Linea già ribadita da Francesco Boccia, braccio destro del segretario Pd.

La proroga dello stato di emergenza, su cui spingono i governatori, pone un problema per le ambizioni quirinalizie di Draghi. Se permanesse una condizione di crisi (certificata dalla proroga dello stato di emergenza), difficilmente Draghi, chiamato alla guida del Paese per uscire dalla pandemia, riuscirebbe a svincolarsi. Lo stato di emergenza comporterebbe il congelamento dell'assetto di governo. Uno scenario che frena i piani del presidente del Consiglio. Da qui la linea prudente: non si decide per ora. La decisione arriverà a fine mese, quando saranno più chiari i dati sull'ultimo monitoraggio. Eppure, la road map di Draghi era un'altra: via libera alla manovra, stop allo stato di emergenza e conferenza di fine anno (che potrebbe essere anticipata). Tre passaggi prima di dedicarsi alla partita per il Quirinale. Ma ora la proroga dello stato di emergenza diventa la «variabile» di disturbo. D'altronde, nella maggioranza, al netto della Lega, tutti sono favorevoli alla proroga. Da Firenze, Letta piazza un secondo ostacolo sulla strada verso il Quirinale del capo dell'esecutivo: «In Italia continua a esserci tutta una discussione sulle elezioni. Per quello che ci riguarda le elezioni ci saranno alla scadenza naturale della legislatura, ovvero nel 2023 e, nella prossima legislatura, noi vogliamo governare il Paese, dopo aver vinto le elezioni, con un Patto di sostenibilità europeo con regole che siamo migliori di quelle attuali».

Il voto alla scadenza naturale della legislatura sfilerebbe Draghi dalla rosa dei papabili per l'elezione del Presidente della Repubblica. Tant'è che il timore di tanti parlamentari è che in caso di trasloco di Draghi da Chigi al Colle si scivoli velocemente verso il voto anticipato. Ma Letta, uno degli indiziati che spingono per le elezioni anticipate, ributta la palla nel 2023. Con Draghi a Palazzo Chigi? Il leader dei dem non si sbilancia e se ne esce con una battuta: «Pensiamo al Pisa, che deve battere il Lecce». Ma su un punto è fermo: «Sono sicuro che il nostro Paese avrà a fine gennaio un presidente o una presidente eletto a larga maggioranza ed eletto rapidamente dalle Camere riunite in seduta comune, e non con vecchi modelli come capitò in passato con lunghe settimane di votazione. Credo che bisognerà dare un segnale e fare questa scelta in modo tale che sia anche una scelta rapida e credo che sia una scelta che debba avvenire nel nome dell'Europa». Scenario che Matteo Renzi vede difficile. Però sotto le parole di Letta si nasconde anche la guerra, tutta interna, contro Bettini che ieri in un'intervista al Corriere della Sera non ha escluso il voto anticipato. Mentre sembra definitiva la rottura tra Carlo Calenda e il Pd.

«Dopo il disastro della pseudo candidatura Conte e di fronte alla disponibilità di ritirare la nostra candidata, il Pd decide di andare avanti senza confronti. Il campo largo non esiste» attacca il leader di Azione. Motivo dello strappo la decisione del Nazareno di schierare nel collegio di Roma, per le suppletive, Cecilia D'Elia.

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