Letta torna dall'esilio. Equilibrista tra le tribù. "Pd in crisi profonda".

Sciolta la riserva: domani sarà segretario. "Niente unanimità, votate per ciò che dirò".

Letta torna dall'esilio. Equilibrista tra le tribù. "Pd in crisi profonda".

«Io ci sono». Enrico Letta scioglie la riserva, come già da due giorni era chiaro dice sì e domenica diventerà il nuovo segretario del Pd, eletto all'unanimità.
Chi convinto, chi dubbioso, chi entusiasta e chi a denti stretti, tutti i capicorrente hanno detto sì al candidato che Dario Franceschini e Paolo Gentiloni hanno convinto a tornare dal buen retiro parigino e a prendere le redini di un partito sull'orlo della crisi di nervi e di identità. «Una crisi profonda», come riconosce lui stesso. Lo fa con un breve messaggio video (nel tondo) annunciato per mezzogiorno, e a mezzogiorno mandato in rete via Twitter. Poche parole, qualche concessione alla retorica emotiva per animare le truppe, e la rassicurazione ai dubbiosi: «Credo nel valore della parola e invito tutti a votare sulla base delle mie parole, sapendo che non cerco l'unanimità ma la verità nei rapporti tra noi, per uscire da questa crisi». E ai cronisti che cercano di strappargli battute ad effetto chiedendogli se è contento della «rivincita» che si sta prendendo, dopo sette anni di «esilio» dalla politica italiana, replica secco: «Nessuna rivincita, il Pd mi ha richiamato».
A sera anche la corrente di minoranza guidata da Lorenzo Guerini e Luca Lotti dà il suo disco verde a Letta, riconoscendogli «autorevolezza ed esperienza» e ringraziandolo per «il coraggio personale di rimettersi in gioco». Ma chiedendo chiarezza su due punti chiave: «il più convinto sostegno all'agenda del governo Draghi» e il «recupero della vocazione originaria del Pd: aperto, plurale e di forte impronta riformista». Un argine insomma a quel mix di nostalgie picciste e cedimenti populisti al grillismo che aveva caratterizzato la passata gestione. E un no ai frondismi gauchisti al governo che si stavano affacciando tra gli orfani del contismo. Nel suo discorso di domenica all'Assemblea nazionale, cui sta già lavorando, Enrico Letta dovrà dunque cercare un complicato equilibrio tra le diverse spinte, visto che proprio ieri l'ormai ex segretario Zingaretti annunciava come «novità storica» l'ingresso dei grillini nella sua giunta regionale. Con i quali grillini, però, Letta vuole un rapporto «di rispetto ma non di sudditanza», anche perché saranno inevitabilmente avversari elettorali in un assetto proporzionale, e il Pd ha molti voti da recuperare, per risalire la china. Ma la «istituzionalizzazione» di M5s è «un bene», perché «incanala le pulsioni antisistema dentro il sistema democratico». Con Conte, spiegano i lettiani, si sono conosciuti in situazioni istituzionali (un incontro in Vietnam organizzato dall'associazione Asean, che Letta presiede e cui Giuseppi partecipò come premier). Per questo si sono sentiti in questi giorni, ora che Conte è in procinto di sostituire Crimi sulla tolda di M5s. Quanto al Pd, Letta promette di fare un discorso molto chiaro sul «modello» di partito che ha in mente, per superare le «appartenenze» di corrente discutendo con onestà sui contenuti per «trovare insieme la sintesi» e per «ridare ossigeno» alla baracca dem. Immaginandolo come perno di un «centrosinistra largo» che vada «dai liberali alle sinistre».
«Che la forza del Pd sia con te», gli augura da Bruxelles Paolo Gentiloni.

Zingaretti plaude alla sue parole «sagge e giuste» e assicura che «era quello che auspicavo accadesse: mettere da parte liti e polemiche e rischio di implosione, e rilanciare la funzione del Pd» come «alternativa alle destre, vero pericolo per il Paese».

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