
Certo, la tentazione pavloviana di accettare la chiamata populista della parola "pace", di saltare indietro scandalizzati di fronte alla "occupazione" (anche se è poi è diventato "controllo territoriale" ridotto nello spazio), di infischiarsene dei fatti è grande. Anche se il biasimo verso Israele significa ignorare i fatti, o fingere di ignorarli: battere un'organizzazione terroristica pericolosa per il mondo intero. È difficile, rischioso, ma che fare altrimenti? Di questo non si sente eco, non c'è discussione sulla sostanza. L'ha detto molto chiaramente Rubio, il segretario di Stato americano: quando Israele era sull'orlo di recuperare gli ostaggi, Hamas ha chiuso con un no le svariate trattative, le proposte di Witkoff (10 ostaggi) e di Netanyahu (tutti gli ostaggi), dopo che Macron ha proposto il riconoscimento dello Stato Palestinese che lo ha rifornito di nuovo del consenso di cui aveva bisogno. Anche Hamas ha chiesto uno Stato palestinese e ha anche rivendicato il 7 ottobre come ragione della sua vittoria sull'opinione pubblica. Non c'è in Europa chi non condanni senza ragionare il progetto di allargare il fronte a Gaza City: un altro tassello al biasimo contro il primo ministro israeliano, che porta sempre con sé, sui giornali e nei partiti, un bottino di consenso. Si è voluto dire che anche l'America dissente citando JD Vance, e non è vero: il vicepresidente americano sostiene il punto di vista israeliano, ammette solo che ci sia qualche "parere diverso". Punto.
Sul piano si sa poco, non si cita, non se ne suggerisce alternativa né per recuperare i rapiti, né per battere Hamas, i due scopi dichiarati e indispensabili per i quali non c'è alternativa dato il rifiuto di Hamas, appunto, a ogni accordo. Ma cedendo ai consigli moderati di Eyal Zamir, l'ingresso dell'esercito è ridotto a Gaza City, e sarà preparato (questo si sa per ora) con un mese fuori della città e poi comprende un mese nella città allo scopo di sgomberare i cittadini per separarli da Hamas e ricostruire una struttura urbana vuota dal loro dominio, mentre si interromperà per questo l'impresa bellica dentro la città.
Due mesi sono tanti: Hamas ha tempo di ripensare al suo rifiuto e riaprire la strada a qualche trattativa. Netanyahu lascia aperta la possibilità di riaprire una trattativa, e nel suo programma non ha parlato di nuovo di "tutti" i rapiti. Interessante: Smotrich, obiettivo favorito della stampa internazionale come prova delle tendenze antidemocratiche e anche opportuniste di Netanyahu, giovedì scorso ha votato contro il programma, sostenendo che non si deve interrompere la guerra per nessuna ragione. L'Europa lo sa questo? Che Netanyahu, sempre accusato di giocare per la sua durata, va diritto per la sua strada, cioè rimuovere Hamas e recuperare i rapiti? E perché non è su questo, invece che sulla parola "occupare" che non esiste nel programma, che l'Europa, compresa l'Italia, non si pronuncia? E non dice nulla nemmeno sulla nuova idea del primo ministro israeliano di affidare il futuro della Striscia a una coalizione araba di cui ci si può fidare? Anche questo non va bene, se lo fa Israele?
Lasciamo da parte Guterrez che al solito parla di "dangerous escalation".
Ma la Germania che alla vigilia dell'anniversario del 7 ottobre dichiara l'embargo delle armi a Israele, suona come una bestemmia che duole troppo ascoltare. Questo è ciò che può davvero rendere difficile, più della guerra che è sempre terribile, ritrovare vivi quei ragazzi ischeletriti nelle gallerie.