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L'ex Rottamatore diventa il Signor No. "Rottura su Arcuri, Bonafede e Azzolina"

I veti del leader Iv sui nomi 5s. Il Pd: voleva scegliere pure i nostri ministri

L'ex Rottamatore diventa il Signor No. "Rottura su Arcuri, Bonafede e Azzolina"

Firmeremo un contratto, anzi un cronoprogramma, meglio un accordo, forse un verbale. Oppure niente. Nella parabola declinante del termine usato per indicare il documento conclusivo del tavolo di maggioranza c'è la sintesi della sfortunata «esplorazione» che doveva tracciare il sentiero verso il Conte Ter.

Il pokerista Matteo Renzi ha giocato la partita su due tavoli paralleli, uno sui temi e uno sui nomi, usando l'uno per alzare la posta sull'altro. E, alla fine, divertendosi pure a svelare la trama del gioco facendo circolare la versione di Matteo. «La barzelletta che non si chiude sul verbale è appunto, una barzelletta - ha scritto il leader sulla chat dei parlamentari di Italia viva - Qui lo scontro è altissimo sui contenuti. Dal Mes alle infrastrutture, dalla giustizia alla Torino-Lione e ovviamente sui nomi».

L'ultima mano è scoperta e Renzi non cerca di nasconderla. Anzi, la squaderna in modo che tutti possano leggerla. La sua versione, ribadita anche dal suo capogruppo al Senato, è che i partner, in particolare i 5 Stelle, volevano riconfermare tutto, dai programmi alla squadra. «Crimi -spiega ai suoi- ha detto che non intendono cedere su nessuno a cominciare da Bonafede e Azzolina. Domenico Arcuri e Mimmo Parisi non si toccano. Possono sostituire la Catalfo solo se non ci va la Bellanova. E per vicepremier al momento è in ballo Fraccaro con Orlando».

È l'ultima versione della poker face del leader di Rignano che approfitta di ogni tentativo dei giocatori grillini di demarcare una linea oltre la quale non si può andare.

Certo è che, al di là dei tatticismi della crisi più pazza del mondo, alla fine del tavolo viene da chiedersi che cosa abbia tenuto insieme la maggioranza giallorossa in questo anno e mezzo di vita. Da mesi il Pd ha mandato avanti Renzi sul Mes, scena che si è ripetuta anche al tavolo dell'esplorazione. I Cinque stelle, come si fa di solito in una trattativa, hanno tirato fuori i temi identitari, in particolare quelli legati all'ambiente. Eppure quando si è formata la coalizione giallorossa, rispolvera gli slogan green e Nicola Zingaretti li abbraccia di slancio. Ieri al tavolo sono riemerse tutte le differenze: i dubbi sulla Tav, le trivelle, l'insistenza sugli ecoreati da una parte, la spinta a far ripartire le grandi opere e investire contro il dissesto idrogeologico, ripristinando l'apposita unità di missione dall'altra.

Anche sull'economia la distanza rimane. La delicatezza della congiuntura fa piovere sul ministro Gualtieri uno scudo interno e internazionale. Da Confindustria, che non ha mai condiviso la linea del governo Conte sull'economia, al Fmi, si chiede di non far ripartire da zero il contatore del Recovery plan. Il Pd incassa, fa girare proposte sul fisco ma si sente rispondere dai renziani con accuse sui ritardi nei ristori, inclusa la richiesta di fare fuori dall'Inps Pasquale Tridico, ritenuto responsabile della claudicante macchina degli aiuti ai lavoratori.

A quel punto al Nazareno capiscono che non ce n'è: «Renzi voleva scegliere pure i ministri Pd», si accusa. E tra i 5s scattano le paure: «Non è che erano d'accordo Renzi, Zingaretti e magari pure Di Maio?»

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