Vedere Matteo Renzi con i gessetti, la camicia bianca, la Treccani dietro le spalle invece della raccolta di Topolino, è apparso a molti ex bambini della tv in bianco e nero un remake di Gian Burrasca con Rita Pavone e Bice Valori. Mancava qualcuno che gli tirasse un pallottola di carta con la cerbottana. C'è un problema: quello che ci faceva la lezioncina in casa, per spiegarci la scuola italiana dalla A alla Zeta, non era un personaggio di un'operetta, ma il nostro presidente del Consiglio, anche se le due parti da un po' di tempo si somigliano.
La predica televisiva, spedita a domicilio alle famiglie italiane - una tirata di 17 minuti e 39 secondi - è riuscita però a incantare i giornaloni, come fosse una trovata da John Kennedy a Berlino: è stata battezzata «operazione simpatia». Va' là: siete più simpatici voi giornalisti, così birichini e dolci con il capo del governo. Di certo siete i suoi alunni più diligenti, e il temino è stato proprio caruccio. Promossi. Forse però è utile una riflessione. Bisogna farlo scendere da cavallo. Se va avanti così riuscirà a distruggere tutti i miti, non solo quelli positivi, ma anche quelli maligni, che pure appartengono al patrimonio dell'umanità. Il rischio è che li faccia apparire così banali, innocui, stupidelli, da tv dei ragazzi, da renderli potabili. E se uno dice che sono cose pericolose, passa per un estremista (lui e non il Gran Maestro, copyright Il Manifesto ). Ad esempio. C'era una volta qualcosa di grandioso: lo Stato etico. Il quale in realtà è la cosa più immorale che ci sia, perché trasforma gli individui in fantocci dello Stato che li guida a essere rotelle funzionanti dello Spirito del tempo. Ecco, Renzi è riuscito a rendere ridicolo persino Hegel che aveva teorizzato questa macchina prussiana perfetta e terribile. Il giovin fiorentino aveva già ottenuto il medesimo risultato con Machiavelli, trasformando in una performance alla Crozza, la fenomenale avventura del Duca Valentino, quel Cesare Borgia che circa cinquecento anni fa partì alla conquista appunto machiavellica dell'Italia, con favolosa volontà di dominio.
Vederlo con i gessetti e la lavagna a spiegare agli italiani il suo abbecedario, in una specie di riproduzione dell'Istituto Luce, è stato un ritorno al Duce a torso nudo con la trebbiatrice e i covoni di grano. Allora, negli anni '30 del secolo scorso, i braccianti furono spinti all'emulazione e gli italiani furono contenti all'unanimità o quasi di avere un simile muscoloso condottiero. Il Capo diventa agricoltore, cavallerizzo, si fa tutto in tutti come Dio incarnato dello Stato etico. Con Mussolini fu alla fine, con le leggi razziali e la guerra con Hitler, qualcosa di tragico ma serio: aveva dietro un grande filosofo come Giovanni Gentile. Ora siamo al dittatorello, che ce lo ripropone, avendo dietro di sé Alessandro Baricco, con la sua prosa che galleggia tra le petunie.
Insopportabile. Chi si crede di essere Renzi? Alberto Manzi che insegna agli italiani analfabeti? Ma quando mai? Questi trattò chi non aveva potuto imparare a leggere, scrive e far di conto con molto rispetto, ma era davvero un insegnante elementare. Renzi è invece uno che si traveste da prof di Attimo fuggente , come Robin Williams, per commuovere le mamme, far invaghire le piccioncine, un uomo solo al comando, ma alla mano, comme il faut , un «tato» cui dare i figli per andare al cinema tranquilli. È costretto a questa sceneggiata per recuperare in immagine quello che l'incapacità di fare star meglio la gente gli sta portando via in quanto a consenso e per rinfrescare la sua immagine di giovanotto brillante. Ma ha ragione Piero Ostellino: è un amico da discussione al bar, con l'aria inconfondibile dello spara panzane.
Non sarebbe un problema, sarebbe anche una simpatica caratterizzazione di un certo tipo di italiano ganassa o sborone, ma
il guaio è che Matteo Renzi è il nostro presidente, e non è che si atteggia così con gli amici per tirarsi su il morale scosso dagli insuccessi a tressette o a calcetto, lo fa a spese della nostra pazienza che sta finendo.
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