Con l'accordo di governo a Praga tra il prossimo premier Andrej Babis (nella foto) e due partiti minori, quello bizzarro degli automobilisti, il Motoristé sob, e il movimento anti Nato Spd, si inaugura una nuova stagione della politica ceca che potremmo definire populista. Con il redivivo Babis installato nell'elegante Villa Kramar, nel cuore dell'Europa si va consolidando una nuova piccola Visegrad. Le influenze per il resto dell'Europa non saranno trascurabili e non si possono ignorare.
In quella che continuiamo a considerare con suggestione letteraria la Mitteleuropa, si sta ricostruendo quell'alleanza euroscettica che per anni aveva rappresentato una spina nel fianco dell'Unione Europea. Un sodalizio degli ex est-europei, ultimi arrivati nel club eppure da subito combattivi, decisi a rappresentare un contro-potere al centralismo di Bruxelles: una coperta troppo stretta per i ritrovati orgogli nazionali dopo il congelamento sovietico, anche se sotto quella coperta è stato comodo scaldarsi quando arrivavano i finanziamenti per trasformarsi in paesi moderni e benestanti.
In Europa il pendolo del populismo oscilla tra est e ovest: tramonta in Olanda e risorge in Slovacchia e Repubblica Ceca, così come resta solido in Ungheria, dove l'uomo che potrebbe scalzare Viktor Orban è di fatto un suo clone, solo più giovane e dinamico.
Questo populismo è ormai un compagno endemico dell'avventura europea, un fiume carsico pronto ad inabissarsi e riemergere a seconda dei momenti storici, a scomparire dopo il fallimento di un'esperienza di governo, come con Geert Wilders in Olanda, o a tornare in auge dopo le delusioni dei governi più tradizionali.
La Visegrad che si va ricostituendo è però più piccola e dunque meno incisiva di quella liquefatta tre anni fa dopo l'invasione russa dell'Ucraina.
La guerra è stata uno spartiacque per molte alleanze, ma fu esiziale per il legame che univa Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia. Quest'ultima si era sfilata per prima già ai tempi del governo conservatore di Mateusz Morawiecki per divergenze sul conflitto ucraino, portandosi appresso anche i cechi nel periodo del loro governo europeista. Fu una rottura pesante, che aveva privato il gruppo del paese dal maggior peso specifico, approfondendosi poi con il ritorno al governo del liberale Donald Tusk.
Ma è paradossalmente sul rapporto con Ucraina e Russia che la piccola Visegrad rinasce come una Fenice. I governi di Bratislava e Praga tagliano i rifornimenti militari a Kiev e ridimensionano gli assegni ai rifugiati ucraini, il premier slovacco Robert Fico ha fatto della critica radicale alla politica occidentale verso la Russia un pilastro della sua agenda e punta assieme a Orban e forse Babis a costruire un'opposizione interna alla linea dell'Unione Europea per formare un "campo di pace" nelle strutture occidentali. Fico e Orban ritengono che le cause profonde del conflitto risiedano nella politica espansionistica della Nato e non nell'aggressione russa, che pur condannano formalmente. Sostengono la corresponsabilità dell'Ucraina nella guerra e denunciano la presunta demonizzazione di Putin, con cui mantengono contatti ostentati, personali e politici.
Ora il tentativo sarà di imbarcare Babis, che di Putin non si è mai fidato.
In attesa di capire se la Polonia manterrà la sua genetica opposizione alla Russia, oppure se, spinta dall'insofferenza di una parte dei cittadini per i rifugiati ucraini e dalla rabbia degli agricoltori per lo scontro sul grano, anche Varsavia possa in qualche modo riavvicinarsi alla nuova Visegrad. Che è destinata a sopravvivere almeno fino al prossimo flop elettorale dei populisti e a nuovi cambi di governo.