È stato il presidente di Forza Italia a convocare ad Arcore Attilio Fontana dopo aver dato a Radio anch'io il suo sostanziale via libera al sindaco di Varese, indicato da Matteo Salvini come candidato alla presidenza della Regione Lombardia. «Noi abbiamo chiesto solo tre giorni per approfondire la cosa, abbiamo fatto dei sondaggi e il risultato finale della riflessione è che crediamo che l'avvocato Fontana sia un ottimo candidato per la Lombardia, un candidato che sosterremo anche noi» le parole del Cavaliere, che si è anche sbilanciato in qualche complimento. «È stimato, è persona affidabile che può dare un buon governo nei prossimi anni».
Manca l'ufficialità di un comunicato congiunto, ma «l'incontro con Berlusconi è andato bene ed è stato piacevole», «su argomenti generali», si è parlato anche di Milan, ha raccontato Fontana. La prima scelta di Matteo Salvini, raccontano, sarebbe stato Giancarlo Giorgetti, che però avrebbe gentilmente fatto capire al segretario leghista di preferire lidi romani, per lavorare sulla legge Fornero. Anche al vertice del centrodestra del 7 gennaio si era tornati a parlare di Giorgetti. In ogni caso i sondaggi Euromedia di Alessandra Ghisleri hanno rassicurato Berlusconi che il voto delle liste non creerebbe problemi al candidato Fontana, anche se la distanza dell'avvocato leghista da Giorgio Gori è appena inferiore ai 10 punti.
Lui, Fontana, il leghista in Porsche, come lo chiamavano in tanti, ha mostrato che il cambio di look non consiste solo nella storica barba che ha tagliato poco dopo aver lasciato l'incarico da sindaco di Varese. È andato ad Arcore in 500 azzurra e, arrivato al Pirellone, ha dato le prime linee del suo futuro governo. Sostanzialmente una, «autonomia», la parola chiave che ha ripetuto dopo l'incontro con Berlusconi.
Fontana ha un cursus honorum che arriva da un passato liberale e, anche se è entrato nel Carroccio anni dopo, l'uomo fa parte della storia fondativa del partito. Nel 1979 ha offerto il patrocinio gratuito al giornale «Nordovest» (della Lombardia), primo esperimento leghista di Umberto Bossi e Roberto Maroni a Como e Varese. I due affittarono un appartamento a Varese con una segretaria, produssero ben cinque numeri ma vendettero zero copie. Il proprietario voleva cacciarli e un amico presentò «un avvocato liberale» che trovò un accordo bonario. Era Fontana e non fece pagare loro nulla.
Rimasero in contatto e crebbe il coinvolgimento. Nel frattempo, Fontana a Varese diventò un avvocato di successo e prima del 2003 era in studio con Beppe Bonomi, attuale direttore generale di Arexpo. Era considerato maroniano ma quando, nel 2006, il leader della Lega, Umberto Bossi, gli chiese di lasciare il prestigioso incarico di presidente del consiglio regionale per candidarsi a sindaco di Varese lui fece quel che tutti facevano con il Senatùr (a meno di non rischiare l'espulsione): obbedì.
Un militante leghista al 100 per cento, che nei momenti chiave ha saputo mostrare la schiena diritta: nel 2011, quando esplose lo scandalo Belsito, e il cosiddetto «cerchio magico» che gravitava intorno a Bossi stese una lista di proscrizione per cacciare i maroniani, al primo posto c'era proprio Attilio Fontana.
L'avvocato scrisse una lettera scherzosa: «Ho sentito Maroni ed era risentito perché non era nella lista di proscrizione». Da allora è passata un'era geologica nella Lega, che ha cambiato non solo leader ma anche nome. Ma queste sono le radici.
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