Ci sono voluti cinque lunghi mesi, ma da oggi lavoratori autonomi, imprenditori e professionisti avranno la soddisfazione di lavorare con la consapevolezza che i guadagni andranno nelle loro tasche e non nelle casse dello Stato. Il calcolo che incrocia calendario ed entrate tributarie lo ha fatto come di consueto l'Ufficio studi della Cgia di Mestre. Ogni anno gli artigiani individuano il «tax freedom day», cioè la data esatta in cui le partite Iva hanno, in media, guadagnato abbastanza per pagare le tasse. Nell'anno in corso sono stati necessari 154 giorni di lavoro - tre in meno rispetto l'anno scorso, ma cinque in più rispetto a 20 anni fa e sette in più rispetto al 2006 - per liberarsi del carico fiscale.
Da oggi comunque le partite Iva smetteranno di lavorare per lo Stato e inizieranno a guadagnare per se stesse. Per pagare tasse e imposte è stato necessario poco meno di metà anno.
Anche su questo indicatore un po' eterodosso l'Italia non è messa bene nel confronto con gli altri paesi europei. Prendendo come riferimento il 2015, con 157 giorni lavorati per il fisco, l'Italia, con 11 giorni in più, è nettamente indietro (dal punto di vista del contribuente) rispetto alla media dell'Unione europea. Peggio di noi solo uno stato molto pesante come quello francese, con 174 giorni necessari a pagare le imposte. La Germania ci batte con 12 giorni di libertà fiscale in più. In Olanda bastano 137 giorni, nel Regno Unito dopo 127 (30 giorni prima che in Italia) e in Spagna appena 126 giorni.
La ricetta per spostare indietro l'appuntamento nel calendario proposta dalla Cgia è classica. «Con una spesa pubblica più contenuta potremmo ridurre anche le tasse - spiega il coordinatore dell'Ufficio studi Paolo Zabeo - ma questo risultato sarà possibile solo con una seria riforma di federalismo fiscale. Grazie ai costi e ai fabbisogni standard e a una maggiore responsabilizzazione dei centri di spesa periferici, i paesi federali presenti in Ue hanno dimostrato di avere una spesa pubblica più contenuta, un peso fiscale molto inferiore e una qualità e un livello di servizi offerti ai cittadini e alle imprese nettamente migliori dei nostri».
Il no tax day e i suoi spostamenti sono il riflesso della percentuale del Pil, cioè della ricchezza creata in un anno, rispetto alle entrate fiscali. Secondo l'ultima Relazione annuale di Bankitalia le entrate della Pa nel 2015 sono aumentate dell'1% a 784 miliardi, pari al 47,9% del Pil. Al netto dela decontribuzione l'aumento delle entrate si ferma allo 0,7%. La pressione fiscale in senso stretto è al 43,5%, diminuita di 0,2% punti, sempre per effetto della decontribuzione.
Nel dettaglio, sono aumentate le entrate da contributi sociali (del 2%, per effetto dell'aumento delle retribuzioni). In teoria calano le entrate tributarie locali (meno 2,1%), ma è solo per il nuovo meccanismo di deduzione del costo del lavoro dell'Irap. Le aliquote locali delle imposte sono tutte aumentate. Ma è aumentato anche il gettito delle amministrazioni centrali (più 1,9%). Quello Irpef è salito di 2,7 punti percentuali a 166 miliardi. L'ires è aumentata del 3,2 per cento a 32 miliardi.
Le imposte sulle attività finanziarie hanno registrato un boom del 6,4% a 16,1 miliardi. Il divario tra l'Italia e il resto dei Paesi dell'area Euro resta elevato. È diminuito di un punto rispetto al triennio precedente, ma nel 2015 era ancora a 2,4 punti percentuali.
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