Libero il sospetto jihadista. Il video pro Isis era "corto"

Confermata la scarcerazione di un kosovaro I filmati non propaganda ma solo «condivisione»

Libero il sospetto jihadista. Il video pro Isis era "corto"

È come la celebre pubblicità del pennello: per fare una buona propaganda all'Isis serve un grande filmato. Se è piccolo non conta, è un passatempo innocuo. Una semplice «condivisione ideologica». Che secondo la logica a un tanto al chilo del Tribunale del Riesame di Brescia è molto meno grave di un'apologia del terrorismo. Per cui servono filmati più lunghi.

Se fossimo a Cannes sarebbe come dividere la sezione cortometraggi da quella dei film veri e propri. Ma siamo in Italia ed è semplicemente un film surreale. Anzi, la realtà. Quella dove Gafurr Dibrani, kosovaro di ventiquattro anni che vive a Fiesse, in provincia di Brescia, è libero come il vento. Malgrado sia sospettato di propaganda in favore dell'Isis. Lui si racconta come un giovane innocuo tutto casa (del Comune) e moschea, padre di un figlio di nemmeno due anni. Ma la trasformazione che lo ha portato repentinamente dall'anonimo look occidentale di provincia a indossare caffetani e pavesare il suo volto con una barba da pasdaran e soprattutto la sua identità digitale sui social network sembrano suggerire un altro scenario. E chissà che anche per Dibrani, com'è già accaduto per altri personaggi radicalizzati sul nostro territorio, come quell'Anas El Abboubi, cresciuto a Vobarno, sempre in provincia di Brescia, arrestato, liberato e poi arruolatosi in Siria con Daesh, non dovremo un giorno versare lacrime di coccodrillo per la nostra dabbenaggine così garantista.

La storia è questa ed è composta da molti capitoli, tutti piuttosto ripetitivi per la verità. Il 3 novembre scorso Dibrani, che risiede in Italia da una decina di anni grazie a una carta di soggiorno a tempo indeterminato per ragioni di famiglia, viene arrestato a Fiesse, paesino più o meno al centro del triangolo disegnato da Brescia, Cremona e Mantova. L'uomo è sospettato, in coerenza con una indagine condotta dalla Digos, di inneggiare all'Isis, pubblicando su facebook video di propaganda alla guerra santa e postando immagini del minuscolo figlio, il «nuovo leone», evidentemente cresciuto a biberon e jihad. Tra il materiale condiviso in rete anche un video antibritannico in cui un'auto con a bordo quattro inglesi esplode. E un altro intitolato «Tut Elimi de Gidelim Cihada» (prendi la mia mano e andiamo al jihad in lingua turca) che contiene un «nasheed», un canto religioso islamico. Non solo: Dibrani vanta anche rapporti con personaggi in odore di Califfato e in passato aveva espresso solidarietà ad alcuni imam arrestati in Albania.

Insomma, di indizi per sospettare una radicalizzazione di Dibrani ce n'è più d'uno. E infatti per il giovane kosovaro si aprono le porte del carcere con l'ipotesi di reato di apologia dei delitti di terrorismo e istigazione a commettere atti di terrorismo, con l'aggravante dell'uso di strumenti informatici. Ma un paio di settimane dopo, il 18 novembre, il Tribunale del Riesame di Brescia accoglie la richiesta dell'avvocato di Dibrani e lo scarcera, annullando l'ordinanza di custodia cautelare firmata dal procuratore aggiunto Carlo Nocerino. Il quale non ci sta e chiede alla Cassazione di rivedere il pronunciamento del tribunale bresciano. Gli ermellini accolgono il ricorso di Nocerino e chiedono al tribunale del riesame lombardo un nuovo passaggio sulla vicenda.

Ed ecco la sconcertante decisione di questi giorni: Dibrani resta libero, i giudici credono alle sue rassicurazioni, al fatto che malgrado video e post a dir poco minacciosi comunque «non volesse fare propaganda all'Isis». E quei video sono troppo brevi per essere di incitamento alla radicalizzazione. Come se gli spot fossero lunghi, poi.

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