Meno male che Erri De Luca si è limitato a dire che «la Tav va sabotata» e che «le cesoie sono utili perché servono a tagliare le reti» e quindi permettono ai black bloc di sfasciare meglio i cantieri ferroviari, ma non ha dato dei «terùn» ai vertici della Torino-Lione, sennò sarebbe stata condanna sicura. Umberto Bossi, per avere usato quel termine riferendosi a Giorgio Napolitano, si è beccato (...)
(...) 18 mesi di reclusione per «offesa all'onore e al prestigio del presidente della Repubblica e per vilipendio alle istituzioni», uno dei reati contro «la personalità dello Stato» previsti dal vecchio codice penale fascista e sopravvissuti nell'attuale ordinamento. Si potrebbe discutere se sia più grave definire, volgarmente, e accompagnandolo pure con gestacci, «terùn» Giorgio Napolitano, o legittimare con l'autorevolezza di scrittore engagé gradito ospite dei salotti tv più radical chic, le azioni violente degli antagonisti incappucciati (e armati di cesoie, come consigliato da lui), ma sarebbe inutile. La magistratura ha già dato una risposta chiara, condannando Bossi e assolvendo il poeta ex Lotta Continua.
A De Luca contestavano un reato, l'istigazione a delinquere, che con la libertà d'opinione (diversamente dal vilipendio) non c'entra nulla, perché viene sanzionata non l'opinione ma le conseguenze che potrebbe avere su altri, influenzandone i comportamenti, e infatti è catalogata nel codice penale tra i delitti contro l'ordine pubblico. E a essere pignoli l'ordine pubblico in Val di Susa, grazie alle squadre di «antagonisti» pronti a mettere in pratica la dottrina Erri («hanno fallito i tavoli del governo, hanno fallito le mediazioni: il sabotaggio è l'unica alternativa», disse) non se l'è passata benissimo negli ultimi cinque anni tra guerriglie, sassaiole, feriti (più spesso i poliziotti), molotov e sabotaggio di cantieri. Ora però, davanti all'assoluzione di Erri De Luca per «non aver commesso il fatto», e dunque alla certificazione che incoraggiare i black bloc non è reato, le devastazioni a mano armata andranno guardate sotto un'altra luce, come democratiche manifestazioni di dissenso, legittime per quanto esuberanti espressioni di dissenso. «La legge non è uguale per tutti», commenta Tonelli, il segretario del Sap, sindacato di polizia: «Due giorni fa sono stato messo in croce per avere indossato una maglietta della polizia a una manifestazione, qui si può fare apologia di sabotaggio senza essere condannati». A sinistra, invece, grande festa per la libertà di pensiero riconosciuta dal Tribunale.
Tutta un'altra storia, invece, per l'ex capo della Lega nord Umberto Bossi, fresco di condanna per vilipendio di Napolitano. Le sue sparate da arruffapopolo padano gli sono costate sempre care, nel suo caso i difensori della libertà di opinione e del diritto a manifestare un pensiero per quanto criticabile, erano impegnati altrove. E la magistratura non ha fatto nessuno sconto. Per avere istigato (come Erri De Luca) i leghisti a prendere «casa per casa i fascisti», lo hanno condannato a un anno di reclusione. Per la fesseria sui «trecentomila bergamaschi armati» per la secessione, altro anno di condanna. Un anno e quattro mesi, invece, per avere vilipeso la bandiera italiana. Per anni poi il procuratore Papalia ha rincorso la Lega come minaccia «all'integrità dello Stato» («Bossi rischia l'ergastolo», arrivò a dire). Ma l'ex segretario del Carroccio non è un caso isolato. Anche Francesco Storace, ex An diventato leader della Destra, è finito nei guai per avere definito «indegno» il capo dello Stato (ancora Napolitano): condanna a sei mesi di reclusione con sospensione della pena.
Per non parlare dei cosiddetti «secessionisti veneti», quattro rivoluzionari da osteria arrestati con un blitz dei carabinieri e sbattuti in galera per settimane come pericolosi terroristi. Ingenui. Bastava incitare i veneti a «sabotare» la Repubblica italiana, magari «con le cesoie», perché al sabotaggio «non c'è alternativa», e il fatto non sussisteva.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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