La Libia resta un "buco nero"

Il ministro Piantedosi convoca i vertici dell'intelligence

La Libia resta un "buco nero"

«Voglio capire la reale situazione in Libia e cosa si può fare». Parole del ministro dell'interno Matteo Piantedosi che ha già convocato i vertici dell'intelligence per capire cosa attendersi dall'ex-colonia. Al generale Gianni Caravelli, capo dell'Aise (Agenzia informazioni e sicurezza esterna) e protagonista indiscusso dei dossier libici, chiederà innanzitutto quale sia la residuale capacità dell'Italia di operare su quei territori garantendosi la collaborazione dei due governi e delle milizie che se li contendono. L'incognita non è da poco. Dal 2019 a oggi i governi Conte e Draghi hanno progressivamente abdicato al ruolo di potenza di riferimento nell'ex-colonia. In Tripolitania, nostra principale zona d'interesse, la Turchia è ormai l'indiscussa tutrice del premier Abdul Hamid Dbeibah. La Cirenaica guidata da Fathi Bashaga, ma succube militarmente del generale Khalifa Haftar e degli alleati russi gravita invece nella sfera di Mosca. Una situazione che, complice la posizione dell'Italia in Ucraina, ha moltiplicato le partenze dei barconi anche dai porti cirenaici. In tutto questo Piantedosi deve capire se l'ex-colonia sia un buco nero ormai avulso dall'influenza italiana o se, invece, il suo territorio garantisca margini di operatività. Un'esigenza fondamentale non solo per governare una Guardia Costiera addestrata e attrezzata dall'Italia, ma anche per prevenire il traffico di uomini con l'aiuto di milizie e forze di sicurezza locali. Dalle risposte di Caravelli, artefice nel 2017 delle alleanze che permisero di ridurre drasticamente le partenze, dipenderanno le scelte di Piantedosi. Mancando la «quarta sponda» il Viminale dovrà limitarsi ad arginare l'attività delle navi delle Ong. Ma come visto durante il mandato di Salvini la mancata collaborazione europea rende spesso impossibile dirottare quelle navi verso altri approdi. L'imperativo è dunque mantenere la collaborazione con una Guardia Costiera libica che tra gennaio e luglio di quest'anno ha bloccato oltre 11mila migranti. Ma nonostante i 44 milioni di finanziamenti garantiti a Tripoli dal 2017 ad oggi l'obbiettivo non è scontato. La Turchia, sempre attenta a usare i flussi migratori come arma di ricatto, da tempo guarda alla possibilità di sfilarcene il controllo.

Una minaccia acuita dal disfattismo di un Pd che a giugno non ha votato il rifinanziamento della missione di addestramento della Guardia Libica e ha ottenuto il ridimensionamento del personale ridotto da 49 a 25 unità. Diffidenze e stilettate politiche che non hanno certo aiutato a rinsaldare la già compromessa collaborazione di Tripoli.

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