Il generale Khalifa Haftar ha lanciato la «guerra santa» contro il minacciato intervento militare turco in Libia e bollato il presidente Recep Tayyip Erdogan come «brutale colonizzatore ottomano». Gli occhi del mondo sono puntati sull'Iran, ma a Tripoli il conflitto sta degenerando verso una guerra regionale sulle sponde del Mediterraneo. L'uomo forte della Cirenaica, che assedia la capitale, si è presentato in tv rispondendo a muso duro al voto del parlamento turco sull'invio di un contingente di 6000 uomini in Libia. «Accetteremo la sfida, dichiareremo il jihad e una chiamata alle armi» ha annunciato il comandante dell'autoproclamato Esercito nazionale libico impegnato nell'offensiva su Tripoli.
Durante il suo intervento in tv, molto deciso, Haftar ha incitato la popolazione alla «mobilitazione generale» esortando «tutti i libici» a prendere le armi, «uomini e donne, militari e civili, per difendere la nostra terra ed il nostro onore».
I turchi speravano che lo spauracchio dell'intervento militare potesse convincere il generale a miti consigli, ma sembra avere ottenuto l'effetto opposto. «Il nemico sta unendo le forze per invadere la Libia e schiavizzare il nostro popolo» e ha trovato «tra i traditori quelli che hanno firmato con lui un accordo di sottomissione, umiliazione e vergogna» ha dichiarato Haftar. Il riferimento è alla Turchia e al ministro dell'Interno del governo di Tripoli, Fathi Bashaagha, che ha fortemente voluto il patto d'acciaio con Ankara firmando il Memorandum del 27 novembre di «Cooperazione nel campo della sicurezza e militare». Haftar è stato particolarmente duro con Erdogan definendolo un «deviato sultano turco, il colonizzatore» che vuole «riprendere il controllo della Libia» come ai tempi dell'impero Ottomano. Non solo: il presidente turco è stato accusato dal generale di alimentare una «guerra nazionale» attraverso l'intera «regione araba».
L'appello alla «guerra santa» ha trovato proseliti fra molti clan, le tribù libiche da Zintan al sud, ma anche Misurata, che si oppone armi in pugno ad Haftar dall'inizio dell'assedio di Tripoli, è divisa sull'intervento di un vero e proprio contingente turco. Il generale ha anche scatenato un'offensiva diplomatica attraverso il parlamento di Tobruk, unico organo eletto dal popolo, che lo appoggia. Ieri l'assemblea riunita a Bengasi ha approvato una mozione che chiede di tagliare i legami diplomatici con la Turchia e chiudere le ambasciate, oltre alla cancellazione dell'accordo militare con Ankara. Non solo: i parlamentari vogliono fare processare il capo del governo di Tripoli, Al Serraj e il suo ministro degli Esteri, Mohammed Siala, accusandoli di «tradimento». Il governo dell'Est, non riconosciuto dalla comunità internazionale, ha nominato nuovi incaricati d'affari all'ambasciata libica in Egitto e presso la Lega araba e l'Unione africana. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, pur non citando mai la Turchia ha dichiarato che «qualsiasi sostegno straniero alle parti in guerra non farà che aggravare il conflitto e complicare gli sforzi per una soluzione pacifica». Soluzione che spera di ottenere la missione diplomatica europea del 7 gennaio a Tripoli (se Haftar smette di bombardare l'aeroporto), che dovrebbe comprendere il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. Forse verrà proposta una no fly zone e si cercherà di far partecipare i contendenti alla conferenza di pace di Berlino di questo mese. Gli egiziani hanno mostrato i muscoli alla Turchia con un'imponente esercitazione aereo navale. E invitato Di Maio l'8 gennaio al Cairo ad un vertice con Francia, Grecia e Cipro. Intanto in serata un attacco ha ucciso decine di persone in una accademia militare a sud di Tripoli. Il ministero della Salute parla di 23 vittime sotto i colpi di mortaio.
L'attacco non è stato rivendicato, il governo accusa Haftar. Poco dopo, aerei da combattimento forniti dagli Emirati Arabi Uniti alle forze del generale Haftar hanno bombardato la base aerea di Maitiga, l'unico aeroporto operativo nella capitale libica.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.