Libri, ginnastica e cibo a domicilio: la mia quarantena che sa di prigione

Dopo un servizio a Codogno resterò in isolamento altri 11 giorni. I miei amici mi invidiano. Sai che bellezza: sarò da solo pure al mio compleanno

Libri, ginnastica e cibo a domicilio: la mia quarantena che sa di prigione

Julian Barnes, Ian McEwan, Philip Roth. L'ho letto o non l'ho letto «Indignazione»? Bret Easton Ellis, «Bianco», un antidoto contro la tirannia del politicamente corretto, magnifico. Sposto libri da uno scaffale all'altro, li spolvero, alcuni - come sempre - non ricordavo di averli. Perché mai a un certo momento della mia vita ho pensato fosse una buona idea acquistare «Italiani si diventa» di Beppe Severgnini, che mi deliziava vent'anni fa, forse venticinque?

Finalmente posso occuparmi dei miei libri. Sono in quarantena. Sono al centro della notizia. Sono stato spedito a Codogno venerdì pomeriggio, nel cuore di uno dei focolai del contagio da coronavirus, un collega si era rifiutato ma io non dribblo mai una grana, se ne intravedo una; e sabato un vicedirettore mi ha chiamato per dirmi: «Resta a casa per il fine settimana». E ieri l'altro vicedirettore mi ha confermato: «La Asl ci ha consigliato di metterti in quarantena per quattordici giorni». Ne restano undici: undici giorni in cui erano in programma varie cene, un viaggio stampa, un salto a Roma da mia figlia, il mio compleanno che è domani. Tutto annullato, tranne il compleanno che - piccola storia patetica - passerò da solo. Anche Tinder è inservibile, la paura azzera gli incontri estemporanei. L'amore al tempo del colera fa sempre zero a zero.

La spesa non è un problema, mangio poco, ho il frigo pieno per atavica meridionalissima tendenza ad aspettarsi sempre una delle piaghe d'Egitto, e poi c'è il delivery. Bere non mi manca, chi mi conosce lo sa, mi aprirò uno champagnino per tirarmi su. Gli amici mi scrivono su whatsapp: «Stai a casa? Beato!», oppure: «Potessi starci io». Ma io vivo da solo, ed esser costretto a stare a casa ancora duecentosessantaquattro ore mi appare come una condanna senza reato. Dov'è finito l'avvocato d'ufficio, non ha la mascherina?

Scrive un'amica. È orgogliosa di conoscere qualcuno in quarantena, di certo lo racconterà in giro vantandosene. Sai che bello. Ogni tanto, per passare il tempo, chiamo il mio caro amico 1500, il numero dell'emergenza coronavirus, oppure quell'altro buontempone dell'800894545, la linea istituita dalla regione Lombardia. Ma è una finta, sono sempre occupati, li avrò chiamati almeno centocinquanta volte al giorno senza esito, non puoi nemmeno metterti in coda (il tempo non mi manca), semplicemente la linea cade e ciao. Avrei bisogno di sapere se devo sottopormi a un tampone, ma forse dovrò rivolgermi al mago Otelma.

Che palle, non posso andare in palestra e in ogni caso stamattina mi è arrivato un sms che mi avverte che è chiusa in ottemperanza all'ordinanza blablabla. Scarico sullo smartphone l'applicazione «7 Minutes», un piccolo circuito di esercizi casalinghi. Mi ritrovo a fare «jumping jacks», i saltelli a gambe chiuse e poi divaricate con le braccia che disegnano un cerchio, non li facevo dalle medie, e poi i «push ups», che sono delle flessioni.

Una-due-tre-quattro-cinque-sei-sette-otto volte, un'ora di allenamento, meglio di niente. Magari domani evado e vado a correre. Se sulla Martesana vedete uno andare a 12 all'ora in tenuta da carcerato sono io. Ma non ditelo all'Asl.

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