L'Ilva pesa più delle fritture. E il Sud rifiuta le elemosine

Trionfo del No ovunque con percentuali bulgare. Non va il sistema De Luca, rivincita della Puglia

L'Ilva pesa più delle fritture. E il Sud rifiuta le elemosine

Napoli - Non sono servite le «fritture di pesce» né le promesse di gite sugli yacht tanto meno l'organizzazione «scientifica» della clientela per dirla con il governatore campano Vincenzo De Luca. Se la disfatta renziana ha una capitale è Salerno, la città-simbolo della politica feudale del presidente della Regione dove il No ha totalizzato il 60% tondo tondo. Inutili i finanziamenti a pioggia da parte di Palazzo Santa Lucia a poche settimane dalle urne, inutile il dinamismo di Piero De Luca, rampollo e super-assessore comunale al Bilancio e leader pigliatutto del «Comitato per il Sì». Inutile la chiamata alle armi di amici e amici degli amici. Il luogo-simbolo del deluchismo si è ribellato ai padroni del vapore e, per la prima volta, ha contraddetto i desiderata dello Sceriffo. Allo stesso modo si sono ribellati i cittadini di Agropoli, sempre in provincia di Salerno, il cui sindaco Franco Alfieri venne additato, nella famosa riunione di De Luca all'hotel Ramada con 300 primi cittadini, come perfetto modello di amministratore clientelare. «Non è un voto contro di me», si affretta oggi a chiarire Alfieri per nascondere l'onta per il No che ha raggiunto 68%. Stessa percentuale di Ercolano dove indossa la fascia tricolore il renzianissimo Ciro Buonajuto, presentatore della «Leopolda 2015» e buon amico di Maria Elena Boschi. A pochi chilometri di distanza, Gongola invece Luigi de Magistris che con un No dilagante (68,3%) si può permettere di dare dello «stalker autoritario» all'ex premier. Complessivamente, in Campania, i Sì hanno raggiunto appena il 31,5%. E De Luca lo Sceriffo adesso richiama tutti «al tempo dell'umiltà e della responsabilità».

Con un Sud tutto saldamente in mano a governatori Pd, la slavina che ha seppellito Renzi assume i contorni più di un tradimento collettivo che di un imprevedibile incidente di percorso. Nella Basilicata dei fratelli Gianni e Marcello Pittella (il primo, candidato presidente dell'Europarlamento; il secondo numero uno della Regione) e dello scandalo Tempa Rossa, i Sì si sono fermati al 34%. In Calabria, dove il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano è (quasi) all'opposizione del presidente Mario Oliverio del Pd, pure lui un mezzo renziano pentitosi poi convertitosi poi ripentitosi di nuovo, il No è in linea col dato nazionale: 67 per cento. A Reggio Calabria record col 69%.

Ma è in Puglia che l'ex inquilino di Palazzo Chigi ha subito l'affronto maggiore. Dopo aver miseramente perso il referendum sulle trivelle, il presidente Michele Emiliano si è rifatto e oggi cinguetta felice: «Buonanotte a tutti. La nostra Costituzione è salva». Lo scandalo dei 50 milioni di euro per i bimbi malati di Taranto revocati dal governo all'ultimo minuto ha dato il colpo mortale alle velleità di vittoria del Sì che si è arenato su uno striminzito 32,8%.

Un altro governatore che non si è certo fatto ammazzare per difendere la riforma costituzionale è Rosario Crocetta che si è addirittura tenuto in giunta un assessore piddino apertamente schierato contro Matteo. Lui parla di «pluralismo» ma il suo atteggiamento assomiglia tanto al piatto freddo di una vendetta che Crocetta assapora dallo scandalo sulle finte intercettazioni ai suoi danni. Non a caso, la Sicilia è una delle poche regioni dove il No ha sfondato la media nazionale raggiungendo quota 71%. Boom ad Agrigento (74,9) e Catania (74,7) e dietro Trapani (73).

Nel Comune più a Sud d'Italia e

anche d'Europa; nel Comune degli sbarchi di decine di migliaia di immigrati, quello di Lampedusa e Linosa, il No si è imposto in maniera ancora più netta ottenendo un suffragio bulgaro: il 78,42% contro il 21,58% del Sì.

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