Più che una scissione potrebbe essere un divorzio consensuale. Le voci corrono, i parlamentari si contano e le ipotesi si sprecano. In una sorta di riflesso pavloviano, Giancarlo Cancelleri parla dello scisma senza accorgersene. Il viceministro dei Trasporti, vicino a Luigi Di Maio, dà corpo allo scenario in un'intervista a Repubblica pubblicata venerdì. «In prospettiva vedo un'alleanza a tre: M5s, Pd e partito di Conte». Laddove, inevitabilmente, la formazione «contiana» potrà assumere il ruolo di rifugio di un gruppo di pentastellati scontenti. L'intervista fa discutere i parlamentari in chat e nei capannelli. E avvalora le indiscrezioni che circolano più insistentemente da qualche settimana. Gruppi vicini al presidente del Consiglio, in cui confluirebbero almeno una trentina di parlamentari pronti a uscire dal M5s. Con una cifra che potrebbe salire se Davide Casaleggio continuasse nel muro contro muro con i gruppi e se gli Stati Generali si rivelassero un flop.
Prima del voto del 20 e 21 settembre circolava anche un numero choc: 100 tra deputati e senatori con la valigia in mano. Una stima da rivedere al ribasso, considerati i timidi passi avanti nel percorso degli Stati Generali. Uno dei temi centrali del conclave di ieri tra il reggente Vito Crimi e i ministri M5s. Ma lo spettro della scissione resta lì. Con il taglio dei parlamentari e il caos sulle restituzioni in grado di fare da acceleratore del processo. La sforbiciata agli eletti rappresenta un'arma a doppio taglio, che potrebbe spingere fuori dalla porta tanti peones stanchi di tagliarsi lo stipendio e di versare l'obolo a Rousseau. «Molti non hanno speranze di essere rieletti, tanto vale tenersi i soldi e appoggiare Conte dal Misto o con gruppi autonomi», chiosa un parlamentare grillino. A rendere praticabile l'ipotesi della fuga c'è anche la resa dei conti sul Mes. Una questione che, in ogni caso, spaccherebbe il M5s. Tra i parlamentari «contiani», indiziati per la scissione, c'è una frangia corposa pronta a dire Sì all'ex Salva-Stati. Mentre alcuni «portavoce» vicini a Di Maio, insieme a quelli più «sovranisti», direbbero No a prescindere.
Così se i peones che si riuniscono nelle assemblee congiunte «si sentono tanti piccoli Winston Churchill ma non decidono nulla», come ci dice una fonte parlamentare M5s, allora è nell'ennesimo «caminetto» riservato che si toccano i temi più scivolosi. Presenti quasi tutti i ministri e i sottosegretari, il ministro dell'Istruzione Lucia Azzolina segue su Zoom, a partire dal primo pomeriggio un codazzo di auto blu e «auto di servizio» affolla l'entrata dell'agriturismo Cobragor, a due passi dall'ospedale San Filippo Neri, vicino alla Borgata Ottavia, quartiere di Virginia Raggi. Ci sono anche alcuni parlamentari, come il vicecapogruppo alla Camera Riccardo Ricciardi, uno dei sospettati in vista dell'ipotetica scissione contiana. Lo scenario è agreste. Il reggente Vito Crimi lo sottolinea: «Questo è un luogo simbolico: un agriturismo dentro Roma ma in mezzo alla natura, una sorta di ritorno alle nostre origini». Tra una frittatona di cipolle alla Fantozzi e un risotto con la zucca, si cerca un compromesso per non spaccare il M5s sul Mes, si parla dei soldi del Recovery Fund, si prova a stringere sugli Stati Generali. Tutti concordano su una leadership collegiale per il futuro, ma s'avanza l'idea di un primus inter pares.
Sul tavolo il vincolo del secondo mandato, da aggirare facendo candidare nelle regioni e nei comuni chi non potrà più correre per il Parlamento. In campo pure l'ipotesi di un condono sui provvedimenti disciplinari per i morosi delle restituzioni. L'obiettivo? Evitare la scissione. O almeno restringerla.
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