La linea: "Creare campioni europei, ma alla pari"

Urso svela l'approccio del nuovo esecutivo

La linea: "Creare campioni europei, ma alla pari"

«L'Italia non sarà più junior partner della Francia». Parola di Giovanbattista Fazzolari, il grande consigliere di Giorgia Meloni (qualcuno lo definisce il suo «Hegel») rimasto finora dietro le quinte del nuovo governo. «Si parla tanto di postura: ebbene l'Italia non sarà più socio di minoranza». Così si esprimeva meno di un mese fa, interrogato sui rapporti futuri tra Italia e Francia. Fazzolari, figlio di diplomatico, è cresciuto e ha studiato per cinque anni in terra di Francia. Conosce bene i suoi polli, dunque, ed è tra gli ispiratori del costante, carsico scetticismo dei Fratelli d'Italia verso le mosse economiche e finanziarie orchestrate da Oltralpe nei confronti del Belpaese, sempre a senso unico. In linea con un altro big dei Fratelli d'Italia, il neo ministro del Made in Italy Adolfo Urso, che nella scorsa legislatura, da presidente del Copasir, ha tenuto alta la guardia sull'avanzata dei gruppi francesi in vari settori industriali e finanziari nazionali, sempre strategici. Un'invasione a cui il sistema Paese Italia non ha quasi mai saputo imporre il principio di reciprocità. Ed è proprio quella tracciata da Urso - che ieri ha conosciuto Macron alla Nuvola - la nuova linea che avrà il governo: «Creare campioni europei, ma con partnership paritetiche, per garantire la autonomia strategica della Ue sugli asset fondamentali del sistema produttivo». Sullo sfondo, una grande attenzione alle aziende italiane che nel tempo sono finite nell'orbita di Parigi. L'elenco è lungo. Si parte dalla Fiat, che nella fusione con il gruppo Peugeot ha formato il gruppo Stellantis, nel cui azionariato la presenza della famiglia Agnelli (al 14%) è compensata da quella dei Peugeot e dal governo francese, presente con il 6,2% del capitale. Una presa diretta, dunque, sul capitale del gruppo, che lo Stato italiano non ha. E che alla lunga potrebbe avere il suo peso sugli stabilimenti del gruppo in territorio italiano, da cui dipendono migliaia di posti di lavoro. Ci sono poi le banche. I francesi hanno conquistato una presenza ormai capillare nel nostro territorio. Prima con Bnp Paribas, da anni padrona della Bnl; poi con l'incedere del Credit Agricole, che si è già aggiudicata Cariparma, Creval e Friuladria e che quest'anno è arrivata al 9% del Banco Bpm con un'operazione che, se andasse ancora avanti, farebbe del gruppo francese - a controllo pubblico, che fa capo ad enti locali - il terzo polo bancario in Italia. Con quello che ne consegue sul controllo del credito alle imprese nazionali e di quello dei nostri Btp, di cui le banche italiane sono piene. Un discorso che si allarga al gruppo Amundi uno dei maggiori asset manager d'Europa, a cui Unicredit ha venduto le sue gestioni (gruppo Pioneer) nel 2017, quando la banca milanese era guidata proprio da un francese, l'ad Jean Pierre Mustier. E in Amundi ci sono altre decine di miliardi di Btp. Sotto il controllo francese è finita anche la Borsa italiana, nel gruppo Euronext. Di strategico c'è poi il destino di Ita, che sta essere venduta dal governo a una cordata con dentro Air France, operazione che ha creato uno dei pochi attriti tra Meloni e Draghi. E dai francesi - il gruppo privato Vivendi - dipende anche il futuro di Tim e quindi dell'infrastruttura della rete in fibra, essendo questi il primo azionista del gruppo.

La lista delle società finite sotto il controllo di gruppi transalpini sarebbe ancora lungo, dalla sfilza di brand del lusso, a Edison nell'energia; da, Parmalat nell'alimentare a Gs nella grande distribuzione. Mentre quello a parti invertite non è mai pervenuto.

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