Europa

Ma la linea italiana contro gli sbarchi ha fatto breccia nell'"eurobuonismo"

Dai 15 miliardi aggiuntivi agli accordi in Africa, la rotta è difficile ma ora è segnata

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Il bicchiere del contrastato Consiglio europeo in realtà è mezzo pieno, o forse più, sul nodo dei migranti. La dimensione esterna, 15 miliardi aggiuntivi per la crisi, il partenariato strategico con la Tunisia, che servirà da modello per l'Africa e la lotta ai trafficanti sono oramai punti fermi accettati e digeriti da tutti i 27 paesi Ue. L'Italia si è battuta per imporre questa rotta, l'unica possibile, anche se ci vorrà tempo, risorse e decisioni toste senza tanti pruriti buonisti o legati al livello di democraticità dei regimi.

La parte vuota del bicchiere è il secco no di polacchi e ungheresi a qualsiasi ricollocamento o in alternativa soldi per ogni migrante rifiutato da versare in una cassa comune. Le due nazioni sono rimasta sole sul fronte di Visegrad anche se hanno qualche ragione legata al peso non indifferente dei profughi ucraini. La Polonia che ne ha accolti 3milioni (adesso sarebbe rimasto solo 1 milione). Varsavia e Budapest, per ammissione della stessa Giorgia Meloni, «difendono i loro interessi nazionali», come sta cercando di fare l'Italia. Spesso gli interessi delle nazioni per motivi geografici, politici o storici cozzano l'uno contro l'altro.

In realtà il «patto» strappato dal ministro Matteo Piantedosi in Lussemburgo l'8 giugno rimane valido con l'appoggio pieno di 25 paesi su 27. La verità è che non possiamo più puntare e sperare nei ricollocamenti, che pure con i paesi disponibili alla fine rischiano di scostarsi di poco dai miseri 1500 denunciati dal ministro in Lussemburgo. Una goccia nell'ondata che sta arrivando via mare quest'anno verso l'Italia e l'Europa. A fine giugno sono già sbarcati nel nostro paese quasi 65mila migranti, ben oltre il doppio degli arrivi nello stesso periodo del 2022. In giugno abbiamo raggiunto il record mensile di 14575 migranti, campanello d'allarme in vista dell'estate, storicamente «calda».

A questo punto Meloni fa bene a non impegnarsi in una battaglia persa sui ricollocamenti, che non passeranno mia all'unanimità, concentrandosi sulla dimensione esterna ovvero su un intervento massiccio della Ue in Africa. Il primo passo è con la Tunisia, da dove arriva la massa di sub sahariani, che quest'anno sono al vertice della classifica per nazionalità assieme a egiziani, pachistani e bengalesi. «Chiedo di fermare l'immigrazione illegale a monte con un partenariato strategico con l'Africa» ha ribadito ieri Meloni. L'utilizzo di 15 miliardi di euro in più previsti dalla Commissione nella revisione di bilancio pluriennale a favore della «dimensione esterna» è un ottimo segnale. L'altra faccia della medaglia è che si tratta di un progetto ad ampio respiro che ha bisogno di tempo e lo dimostra pure la versione italiana, il piano Mattei, annunciato, ma non ancora decollato in maniera concreta. La buona notizia è che con la Tunisia l'Europa dovrebbe essere finalmente in dirittura d'arrivo per un partenariato che potrebbe diventare un modello per tamponare le migrazioni con altri paesi africani.

L'ultimo tassello è la lotta ai trafficanti ribadita ieri dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ma che deve essere senza quartiere e spregiudicata. In Libia il governo di Tripoli usa i droni turchi e il generale Haftar ha cominciato a organizzare retate e a sequestrare barconi. I nostri servizi segreti con le unità di corpi speciali, approvati fin dai tempi del governo Renzi, dovrebbero dare pesantemente una mano per tagliare le teste dell'Idra dei trafficanti di uomini.

Altrimenti l'arrivo in un solo giorno, il 29 giugno, di 2307 migranti, sarà sempre più frequente con l'avanzare dell'estate.

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