
Del Domani non c'è certezza. L'Ingegner Carlo De Benedetti (nella foto) lascia il quotidiano che aveva fondato nel 2020 a una fondazione con in pancia 4 milioni di euro. L'annuncio lo dà l'ex editore di Repubblica in un'intervista a Primaonline: "La mia idea da sempre era che, quando il giornale fosse stato in equilibrio economico, l'avrei passato a una fondazione. È una decisione coerente, lo dissi nel 2020 e lo faccio oggi, cogliendo l'occasione del compleanno dei cinque anni. Rispetto quella promessa", con tanto di ringraziamento all'ex Rai e Mtv Antonio Campo Dall'Orto e al direttore Emiliano Fittipaldi.
In realtà, il sogno di fare una nuova Repubblica e di drenare lettori alla sua ex creatura si è infranto, per mille motivi. Quanto durerà il Domani senza i soldi di Cdb? Difficile dirlo. Come ammette lo stesso Ingegnere la testata non è ancora in break even: le perdite sfiorano il milione di euro "ma la previsione è di azzerarle entro un anno" grazie a digitale, abbonamenti e newsletter verticali" e tre edizioni: quella cartacea chiuderà alle 19, una parte web sarà gratuita, l'altra a pagamento per i ricavi.
Ma "io non scappo", ci tiene a sottolineare De Benedetti, convinto di poter trovare "personalità progressiste, indipendenti e riformiste di alto profilo, in sintonia con la vocazione editoriale del giornale" assieme a Campo Dall'Orto. I partiti non c'entrano e non c'entreranno, "il Domani non sarà d'élite come il Foglio deve rimanere totalmente estraneo a ogni legame economico o politico" eppure come presidente della nuova società editrice c'è Luigi Zanda, già capogruppo Pd al Senato e figlio dell'ex capo della polizia ai tempi del sequestro di Aldo Moro. I soldi ci saranno "anche dopo la mia morte, altri capitali già definiti nel mio testamento", assicura. La Fondazione "avrà un consiglio di saggi di varie provenienze, specialisti di scienze sociali e della comunicazione, studiosi della politica" non ancora coinvolti.
In realtà, secondo fonti interne alla redazione, i problemi sarebbero altri. Il metodo Domani si è intrecciato a doppio filo con il metodo Equalize e Pasquale Striano, l'ufficiale Gdf che andava a caccia di notizie spulciando indebitamente tra le segnalazioni di Bankitalia e le girava ai cronisti amici del quotidiano di Cdb. Da qui le inchieste contro i principali esponenti del governo di Giorgia Meloni, dai presunti dossieraggi contro il ministro della Difesa Guido Crosetto su cui indaga la Procura di Roma fino ai veleni interni a Palazzo Chigi. Un giornalismo figlio di veline raccattate con la complicità di 007 infedeli e inquirenti amici, come quello messo in piedi dall'ex supersbirro Carmine Gallo. Alla fine in quei pezzi non c'era nulla o quasi, molti sono diventati materia incandescente per i tribunali, con possibili risarcimenti milionari per chi è stato ingiustamente infangato. Chi li pagherà?
Nell'intervista a Prima, oltre agli aneddoti su Eugenio Scalfari ("gli diedi 90 miliardi di lire, non ha dato un centesimo a nessuna delle persone che hanno collaborato con lui a far nascere Repubblica") De Benedetti scarica il solito veleno contro i figli, in particolare Marco De Benedetti.
"Come mai a un certo punto nel giugno 2017 ha deciso di lasciare la presidenza di Gedi in modo inaspettato, parlando di ricambio generazionale e passando il testimone a suo figlio Marco, a cui dell'editoria importava meno che niente? Perché lo ha fatto?", gli chiede Alessandra Ravetta. "Perché ho sbagliato". Forse l'unica frase sincera di tutta l'intervista.