Roma - Fine rate mai. Per ripagare l'errore (altrui) nel calcolo della sua pensione Giuseppe Sinaldi, 80enne trevigiano, in pensione dal '92 dopo aver lavorato prima nel cinema e poi come bidello, dovrà rimborsare all'Inps mille euro l'anno fino al 30 settembre del 2039. Il malcapitato contribuente, insomma, dovrà cavarsela con la pensione ridotta di un quinto fino al compimento del suo 103esimo compleanno. Più che una rateizzazione, un ergastolo.
L'uomo, che ha raccontato la disavventura alla Tribuna di Treviso, era già finito sui giornali pochi anni fa, quando a dicembre 2014 aveva vinto una battaglia in tribunale per ottenere le ceneri del suo convivente. Ora ci torna per la notifica che gli ha spedito, giorni fa, l'ufficio Inps della città veneta. Una missiva che dimostra come l'istituto di previdenza stia affannosamente grattando il fondo del barile alla ricerca di qualsiasi briciola da rimettere in cassa.
La lettera, in gelido burocratese, si limita a far presente al pensionato che negli ultimi 24 anni gli sono state corrisposte «somme in più» per 24.836,21 euro, per poi concedere la rateizzazione-monstre attraverso la ritenuta del quinto della pensione. Offrendo infine la possibilità, dietro «motivata richiesta», di allungare i termini di altri 5 anni, «qualora ella si trovi in gravi e documentate condizioni personali tali da non riuscire a sostenere la trattenuta».
L'errore, evidentemente, risale a quando Sinaldi, nel settembre 1992, quando aveva 56 anni, ha scelto di lasciare il lavoro e ha cominciato a percepire la pensione, calcolata a quanto pare per eccesso dall'Inpdap, e poi confluita nella gestione dell'Inps. Da allora nessuno ha mai obiettato nulla fino a quando, un anno fa, l'ente previdenziale ha provveduto al ricalcolo del conguaglio tra il «trattamento pensionistico provvisorio e il decreto di pensione definitiva». Sono saltati fuori quei mille euro l'anno di troppo e, di conseguenza, è arrivata anche la richiesta di restituirli. Un po' alla volta, fin quando il pensionato sarà ultracentenario.
Sinaldi si è affidato a un avvocato, ed è probabile che presentando ricorso contro la decisione dell'Inps non dovrà pagare l'intera somma che gli viene richiesta come culmine del suo surreale incidente. Una buona parte del debito accumulato suo malgrado, infatti, risale a un passato piuttosto remoto, e dunque a quando il diritto da parte dell'Inps di chiedere la restituzione di quelle somme è ormai prescritto.
L'ente previdenziale dovrà dunque accontentarsi di recuperare meno della metà (10 anni su 24) del richiesto, o forse addirittura meno, stando a quanto dichiara alla Tribuna il segretario trevigiano della Spi-Cgil Paolino Barbiero: «Dopo cinque anni scatta la prescrizione, anche per pretendere dal pensionato soldi in più ricevuti negli anni precedenti.
L'Inps chiede indietro 24 anni di soldi dati in più? Alla fine si dovrà accontentare di 5 anni». Durante i quali, comunque, Giuseppe intascherà meno di 800 euro al mese. E sarà costretto a vivere, per un errore altrui, appena al di sopra della soglia di povertà.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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