L'intercettazione di Crocetta? L'Espresso non ha nulla in mano

Il settimanale ammette: solo un audio ascoltato un anno fa Nuovo show del governatore all'Assemblea regionale

Il Presidente della Regione Sicilia Rosario Crocetta
Il Presidente della Regione Sicilia Rosario Crocetta

Roma - A una settimana dalla pubblicazione delle intercettazioni choc tra il governatore siciliano Rosario Crocetta e il chirurgo Matteo Tutino nella quale quest'ultimo asserirebbe: «Lucia Borsellino va fatta fuori. Come il padre», l'Espresso fa una parziale retromarcia. In un articolo non firmato postato sul proprio sito Internet il settimanale racconta alcuni dettagli che confliggono con le tesi sostenute fino a ieri.

L'intercettazione sarebbe stata fatta ascoltare a maggio 2014 ai due cronisti da una fonte investigativa. A fine giugno di quest'anno, quando Tutino fu arrestato, la stessa fonte ricordò all'autore dell'articolo dell'intercettazione di cui un anno prima non si poteva rivelare l'esistenza (le indagini erano ancora in corso) confermandola testualmente. In ambienti giornalistici e politici siciliani si vociferava di rivelazioni scottanti su Crocetta e l'Espresso ne avrebbe chiesto conferma anche a fonti inquirenti che avrebbero risposto affermativamente. Ma questa narrazione non coincide con quanto affermato più volte dal direttore Luigi Vicinanza circa l'effettiva esistenza dell'intercettazione stessa. E, soprattutto, non coincide con le dichiarazioni rese da quattro Procure dell'Isola (Palermo, Caltanissetta, Messina e Catania) che hanno negato di avere agli atti la frase «incriminata».

Ecco perché ieri Crocetta ha ripetuto per l'ennesima volta il suo one man show , questa volta dinanzi all'assemblea regionale siciliana. «Mi rifiuto di offrire le mie carni a famelici carnefici, non posso dimettermi, tutti sanno che quella intercettazione non c'è», ha ripetuto. «La richiesta di andare al voto è irricevibile: i falsi scoop non possono decidere le sorti dei governi», ha aggiunto rimarcando di essere «felice che quattro Procure abbiano smentito le false accuse». Il governatore è, infatti, convinto che dietro agli attacchi ci sia «il cerchio magico degli affari che a volte collude con la massoneria e con la mafia che non è più stragista ma intarsiata nella cose della Regione». Una denuncia che negli ultimi tre giorni ha recitato a memoria.

Una recita che lascia trasparire la vera questione politica: Crocetta sa benissimo che la propria esperienza da presidente della giunta regionale sta volgendo al termine. Ai deputati (così si chiamano i consiglieri di Palazzo dei Normanni) ha chiesto, infatti, «tempo per completare le riforme: poi voi esolo voi, senza diktat romani o di forze parallele, deciderete se mettere fine alla legislatura». Il richiamo del premier Renzi a «governare» sembra un avviso di sfratto, ma tranne Forza Italia e M5S che chiedono elezioni subito, in Sicilia i partiti non hanno molta voglia di mollare gli scranni. A partire proprio dal Pd, nonostante gli avvisi di sfratto provenienti sia da Palazzo Chigi che dal segretario regionale Fausto Raciti. Crocetta, perciò, ha giocato sulla sensibilità degli «onorevoli» siculi alle partite economiche.

«Non mi dimetto perché non sono un irresponsabile, non lascio migliaia di lavoratori senza salario», ha concluso. Un chiaro riferimento ai 75mila effettivi, tra dipendenti e precari, al servizio della Regione. Ma che, soprattutto, votano.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica