L'inutile guerra delle due rose

Questo è il giorno delle rose. No, non i fiori, ma i nomi. Quelli da dare agli altri. Noi scriviamo i nostri, voi scrivete i vostri, poi ci confrontiamo e si converge, sul nulla

L'inutile guerra delle due rose

Questo è il giorno delle rose. No, non i fiori, ma i nomi. Quelli da dare agli altri. Noi scriviamo i nostri, voi scrivete i vostri, poi ci confrontiamo e si converge, sul nulla. È una sorta di gioco di società. Non è che serve veramente a trovare il presidente della repubblica. È un passatempo, per dire che un altro giorno è andato. I candidati messi nel mazzo in genere si rendono conto che le possibilità di salire al Quirinale si avvicinano allo zero. Se ti nominano è perché non sei tu la carta vincente. Tutto questo ha un senso? Solo nel rituale della politica, per il resto degli umani non c'è molto da capire. È quello che è: una danza sul nulla. Lo sguardo consapevole, e in questo caso sicuramente non politico, magari al limite del qualunquismo, è lo stesso della poesia di Gertrude Stein. Il titolo è Sacred Emily e il primo verso suona esattamente così: «Una rosa, è una rosa, è una rosa». È inutile stare lì a interpretare la realtà nascosta sotto quei nomi. È il modo per dire che hanno provato a condividere, ma come si sa nessuno vuole condividere le scelte degli avversari. Sono solo una rosa, di destra e di sinistra. Al limite te li puoi giocare, o giocarci su. Se tutto questo fosse teatro si potrebbe dire che ieri è andata in scena la guerra delle due rose. York contro Lancaster. Rosa bianca contro Rosa rossa. Un vuoto di potere e due casate che si contendono il destino del regno. È l'Inghilterra del 1455 e il tramonto dei sovrani Plantageneti. È una guerra tra parenti, tra rami cadetti. Un re, Enrico VI, che avrebbe preferito stare altrove, stanco di intrighi di corte e parole sussurrate solo per sparlare di questo o di quell'altro. I Lancaster che gli stanno intorno, una corte innamorata della propria poltrona che parla in nome del sovrano e ne gestisce i soldi, sperperandoli. Riccardo di York che si percepisce fuori dal cerchio e giura di non voler sovvertire il monarca ma solo spazzare via i cattivi consiglieri. «Perché restate lì, muti e perplessi, miei signori? Il mio diritto è valido, di gran lunga più valido del suo». È quello che accade quando la politica non trova la strada e ogni protagonista rivendica la legittimità a sedere sullo scranno più alto. Il problema non è quindi la rosa, ma l'intero giardino. È così che dal centrodestra arrivano tre nomi, come una filastrocca: Nordio, Moratti e Pera.

Da sinistra la rosa sembra già avvizzire, perché i petali, smaliziati, si nascondono per non apparire. Si cerca la donna, pensando a Finocchiaro e Bindi, ma loro rispondono: che ci chiamate a fare? Non sempre una rosa è una rosa.

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