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L'ipocrisia di Speranza: "Non si fa politica su un'epidemia". Ma è il primo a cavalcarla

Il ministro della Salute in persona (basta leggere il suo libro), il governo di cui faceva parte, gli esponenti politici di centrosinistra, cavalcano da sempre il Covid per attaccare gli avversari

L'ipocrisia di Speranza: "Non si fa politica su un'epidemia". Ma è il primo a cavalcarla

Lo sfogo di Roberto Speranza in Senato per difendersi dalla mozione di sfiducia presentata da Fratelli d'Italia è melodrammatico: "Non si fa politica su un'epidemia", dice.

Posto che non certo la pandemia in sé, bensì la gestione della stessa, è un fatto politico, il ministro della Salute utilizza il vittimismo ormai da tempo, per promuovere quell'impalcatura narrativa tipica del governo Conte II volta a far passare i depositari del potere politico ritrovatisi a fronteggiare un nemico così potente come degli eroici patrioti a cui tutto dev'esser concesso.
La politica del dogmatismo a cui aspira Speranza, tuttavia, scivola sulla buccia di banana dell'ipocrisia. Perché lui, il suo governo, specie quello precedente, la coalizione di centrosinistra di cui fa parte e gli esponenti politici stessi dei vari partiti e partitini progressisti di politica ne fanno eccome.
Del resto, basta tornare a spulciare il suo libro, l'introvabile "Perché guariremo", per farsi un'idea della visione "a-politica" della pandemia da parte di Speranza. Oltre ad un intero capitolo che si intitola proprio "non si fa politica su un'epidemia", praticamente una hit, considerando che il volume sarebbe dovuto uscire lo scorso autunno, è Speranza in persona a vuotare il sacco. Parla del ritorno della sinistra post-covid, che ha "dissodato per la sinistra un terreno politico molto fertile", caldeggia l'ipotesi di "rifondare un'egemonia culturale", confessa che il suo chiusurismo fetish sia "ben ponderato e amato dalla popolazione" e che più che ragioni scientifiche e di tutela della salute, molte delle chiusure sono state ragionate per non "lasciar pensare agli italiani che ci fossero regioni dove si viveva meglio".
Insomma, Speranza, e per estensione tutto il suo fronte politico, non ha fatto altro che intravedere nel pericolo, iperbolizzato, della pandemia e nella lotta al virus un'opportunità per far breccia nelle coscienze di milioni di persone che della "sinistra" e della sua "egemonia" non volevano più sentirne parlare. Quando Giuseppe Conte e il suo infinito apparato di scienziati si scagliavano contro la Regione Lombardia per colpire la Lega, "assolvendo" dalle medesime accuse le rosse Emilia-Romagna e Lazio non si trattava di fare politica su un'epidemia?

Quando Conte in persona utilizzò una conferenza stampa a reti unificate per attaccare gli avversari Salvini e Meloni facendo "nomi e cognomi", tanto da far impallidire persino il compagno Pier Luigi Bersani ("Poteva evitare, la gente ci arrivava. Quando ero nel PCI, all'opposizione, e c'era un problema nazionale, l'indicazione era 'zitti e lavorare") non si trattava di fare politica su un'epidemia?

Quando onorevoli come Alessia Morani (Pd) non più tardi di un mese fa accusavano il Governatore Acquaroli di avere la responsabilità del "boom di contagi" nelle Marche, attaccandolo solo perché esponente di FdI dimenticandosi che nelle Marche c'è la più alta percentuale in Italia di vaccini somministrati, non si trattava di fare politica su un'epidemia?

Quando nel decreto Covid emanato dopo la Pasqua i rigoristi capeggiati da Speranza non volevano discutere nemmeno la possibilità di monitorare i dati settimanali per reintrodurre le zone gialle prima di maggio per non fare un favore elettorale alla Lega (in realtà i numeri ci sono e c'erano sempre stati, tant'è che le zone gialle sono state reintrodotte, per forza, già il 26 aprile) non si trattava di fare politica su un'epidemia?

Quando Zingaretti & Co. cavalcavano l'epidemia per decantare i meriti dell'Unione Europea ("senza Europa non ce l'avremmo mai fatta") dimenticandosi delle clamorose lacune nell'approvvigionamento dei vaccini da parte di Bruxelles di cui ancora oggi paghiamo le conseguenze, non si trattava di fare politica su un'epidemia?

L'agenda politica di centrosinistra è sempre stata caratterizzata da istanze identiche ai tempi pre-Covid: accoglienza, europeismo, inclusione, ius soli, ddl Zan. Tutte battaglie portate avanti con orgoglio nonostante la pandemia, anzi spesso utilizzando l'attenzione rivolta alla pandemia per proseguire sul cammino del mantra progressista.

Con o senza pandemia, in uno Stato democratico la politica non può essere messa in stand-by. Speranza, e la sua agenda, ne sono un esempio. Pertanto, le inefficienze del Ministro della Salute sono un fatto politico e devono essere affrontate in modo politico. Come devono essere affrontate le indagini di Bergamo sul direttore vicario dell’Organizzazione mondiale della Sanità, Ranieri Guerra, che con Speranza ha collaborato fin dall'inizio della pandemia. Come devono essere affrontate le inquisizioni per peculato per Domenico Arcuri nel quadro dell’indagine della Procura di Roma sul mega-pasticcio dell’acquisto delle mascherine all’inizio della pandemia. Come deve essere affrontato il dogmatismo chiusurista caldeggiato dai viro-star sostenitori di Speranza in tutti i programmi tv che non tengono conto delle urla disperate di alcuni cittadini poiché ce ne sono altrettanti (e forse di più) a cui la linea del rigore continua a garbare. Speranza non è intoccabile. Men che meno dalle critiche.

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