Politica

L'ipocrita "phishing" sulle donne

"Una donna al Colle" è l'equivalente della mail che ti arriva da "Ecuittalia" dal titolo "Hai diritto a un rimborso fiscale": puro e semplice phishing politico

L'ipocrita "phishing" sulle donne

Nove. Esclusa Maria Elisabetta Casellati, che al quinto scrutinio si è fermata a 382 voti battendo il record di Nilde Iotti nel 1992, la donna che ha preso più preferenze in queste votazioni quirinalizie è stata Marta Cartabia alla prima chiama. Scelta da nove elettori su 1.009. Niente male per una scena politica che da anni utilizza le pari opportunità come un'esca elettorale da quattro soldi.

Oggi che cala il sipario sull'avanspettacolo e che al Quirinale salirà un Mattarella (nel tondo un meme diventato virale sui social) di nome e non una mattarella per indole, «Una donna al Colle» si svela per quel che è. Non una sacrosanta battaglia sociale e nemmeno la petizione che ha raccolto 2.500 firme fra le protagoniste della scena culturale del Paese. No, «Una donna al Colle» è l'equivalente della mail che ti arriva da Ecuittalia dal titolo «Hai diritto a un rimborso fiscale»: puro e semplice phishing politico. E come tale è giusto trattarlo, denunciando i colpevoli - se non alla Polizia postale - almeno all'opinione pubblica.

Sarebbe spietato elencare tutte le dichiarazioni sui «tempi maturi», sull'esigenza di avere queen maker in campo, sul dovere morale di «allinearci all'Europa della Von der Leyen», di «fornire alle bambine un esempio». Decine, centinaia di «svolte epocali» annunciate, di «grandissimi segnali al Paese». Era «l'occasione per dimostrare che una donna capace può raggiungere il vertice delle istituzioni». Parole bipartisan, ma con toni più commossi e pugnaci a sinistra, dove la battaglia è idealmente più sentita, almeno quanto l'imprescindibile ddl Zan. Peccato che poi, finito il piccolo spazio pubblicità progresso, la politica abbia mostrato il suo vero carattere, che nonostante il maquillage ipocrita è sempre e comunque maschiocentrico per inerzia e comodità. Così i partiti entrati in Aula fluidi come i Måneskin si sono magicamente rivelati retrogradi come latifondisti dell'Ottocento. Sicché, al dunque, solo Calenda e +Europa hanno candidato la Cartabia. Al dunque, quando il centrodestra ha tentato la carta Casellati, dalla contraerea progressista è arrivata una (ovvia) raffica ad abbattere la candidata femmina più votata della storia repubblicana. Al dunque, la boutade raffazzonata della Belloni è stata gambizzata prima ancora che si alzasse in piedi. Risultato: una strage di candidate sul selciato, un «femminicidio politico» e nessuno, tranne la Meloni, a condannare il feroce cannibalismo dei partiti e l'implicita misoginia dell'iter decisionale.

Tutto questo bluff, svelato senza neppure un gioco di rilanci dietro agli occhiali da sole, dovrebbe insegnare parecchio sulla pochezza dei giocatori al tavolo. Questo Giornale non ha mai mostrato simpatia per il meccanismo delle quote rosa applicate a qualsiasi campo, ma da sempre sostiene il merito come unico faro, a prescindere dal genere, a costo di finire bollato di conservatorismo retrivo e patriarcale. Per noi, la vera sconfitta generale è non essere riusciti a trovare un candidato alternativo a Mattarella, non tanto non aver trovato una donna. Ma questo vale per chi ha ben chiaro che la battaglia per l'autentica uguaglianza - che si combatte dopo secoli di disparità - non si vince in sei mesi e soprattutto non si vince limitandosi a tweet di propaganda. Che funzionano per ricevere like, ma che diventano controproducenti quando vengono disattesi. Perché la prossima volta che da sinistra si leverà il mantra della crociata femminista, a occhio qualche donna si ricorderà di quei nove voti alla Cartabia.

E alla domanda «se non ora quando?», è probabile che risponderà: «Fosse per voi, probabilmente mai».

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