
Lo scenario più temuto in queste ore è che si infiammi l'intera regione mediorientale e la super potenza degli Stati Uniti intervenga direttamente nel conflitto tra Iran e Israele. Le premesse purtroppo ci sono tutte. Un funzionario di Teheran ha spiegato alla Cnn che la Repubblica islamica «si riserva il diritto, in base alle leggi internazionali, di rispondere con decisione» qualora «qualsiasi Paese tenti di difendere il regime» di Tel Aviv «dalle operazioni dell'Iran» e «vedrà, a sua volta, le sue basi e posizioni regionali diventare nuovi obiettivi». Facciamo prima però un passo indietro. Donald Trump ha rivelato nei giorni scorsi al Wall Street Journal che lui e il suo team erano stati informati sui piani dello Stato ebraico per attaccare il regime degli Ayatollah. Ma c'è stato un cortocircuito all'interno dell'Amministrazione. In precedenza, il segretario di Stato americano Marco Rubio aveva negato la partecipazione degli Stati Uniti: «Israele ha intrapreso un'azione unilaterale contro l'Iran. Non siamo coinvolti in attacchi contro la Repubblica islamica e la nostra priorità è proteggere le forze americane nella regione», aveva sottolineato. La preoccupazione di Washington è che la dittatura teocratica iraniana possa effettuare ritorsioni su alcuni siti statunitensi nel vicino Iraq, e questo è uno dei motivi per cui a un certo numero di suoi cittadini è stato consigliato di lasciare la regione a causa delle «accresciute tensioni», e il Pentagono ha autorizzato i familiari dei militari ad abbandonare volontariamente le proprie sedi in tutto il Medio Oriente, in particolare, oltre che l'Irak, anche le ambasciate Usa in Bahrain e in Kuwait.
Secondo alti comandanti militari dell'Iran, la guerra, nonostante tutti gli auspici, si estenderà nei prossimi giorni, e includerà pure le basi statunitensi nell'area, anche se questa potrebbe essere solo una strategia di propaganda. Il regime degli Ayatollah in queste ore è stato esplicito e ha informato Washington, Londra e Parigi di essere pronto ad attaccare le loro basi militari in Medio Oriente qualora forniscano supporto a Israele. Secondo i resoconti, Teheran ha minacciato addirittura di colpire le navi nel Golfo Persico e nel Mar Rosso appartenenti a qualsiasi Paese che tenti di neutralizzare i suoi attacchi contro Tel Aviv.
Tuttavia, le vie diplomatiche non sono completamente chiuse, e forse si può ancora tentare di scongiurare la catastrofe. Il capo del Pentagono Pete Hegseth in un'intervista a Fox, ha chiarito che Donald Trump «preferisce la pace» e che «l'Iran ha ancora un'opzione», per poi sottolineare che sarebbe una «cattiva idea» per Teheran spostare l'attenzione sugli Stati Uniti. Che però sono attori centrali nel conflitto in corso. Il Washington Post ha infatti rivelato che lo Stato ebraico ha ricevuto l'assistenza dei sistemi di difesa aerea statunitensi e di un cacciatorpediniere della Marina Usa per abbattere i missili iraniani lanciati in risposta all'attacco israeliano contro il regime degli ayatollah. I funzionari hanno riferito al giornale anche altre notizie, non proprio rassicuranti, ovvero che Washington dispone nell'area in questione sia di sistemi di difesa missilistica Patriot basati a terra, sia di sistemi Thaad (Terminal High Altitude Air Defense).
Il quotidiano ha inoltre specificato che aerei da combattimento a stelle e strisce stanno già pattugliando i cieli del Medio Oriente e che gli Stati Uniti stanno riposizionando risorse militari, comprese unità navali, nella regione.