Roma Un suo post su Facebook sulla strage di Dacca e sui «cani rabbiosi che hanno ammazzato» i nostri connazionali in poche ore ottiene 6.500 condivisioni e più di mille commenti. Un intervento, quello di Enrico Mentana, direttore del Tg La7, che dà voce allo sgomento e all'assenza di senso per una violenza così efferata. E riaccende i riflettori sull'eterno tema della timidezza dell'Islam moderato. «Una sola cosa è più inspiegabile delle scelte dei kamikaze islamisti: la mancata sollevazione di massa da parte delle comunità musulmane nel mondo. In ogni civiltà si creano gli anticorpi contro le degenerazioni ideologiche o culturali o sociali. Invece il terrorismo jihadista strage dopo strage sta schiacciando l'Islam moderato».
Direttore, qual è il sentimento che prevale in lei in questo momento? La rabbia, lo sgomento, la sensazione di un Occidente incapace di prendere atto della realtà?
«No, non la rabbia bensì l'incapacità di capire ciò che evidentemente è per noi incomprensibile. Come può qualcuno essere disposto a morire per uccidere persone che neppure conosce e senza che ciò sia legato a una guerra di liberazione da un oppressore straniero, all'anelito di libertà, al desiderio di difendere la propria patria?».
Una logica che trasforma ciascuno di noi in un potenziale bersaglio.
«Sì, vale per i ragazzi del Bataclan, per la redazione di Charlie Hebdo, come per i semplici avventori di un ristorante. Una sorta di lotteria dell'orrore dove ogni vittima è scelta in base agli incroci del destino. Per noi italiani è inevitabile pensare alla nostra esperienza del terrorismo. Le vittime venivano scelte secondo logiche che noi capivamo, pur respingendone le motivazioni. Erano magistrati, sindacalisti, giuristi, giornalisti: si sceglievano simboli di valori da combattere. Oggi si colpiscono persone semplicemente in quanto non islamiche. Ma si colpiscono anche gli stessi islamici come avvenuto ad esempio a Istanbul».
Lei punta il dito contro la mancata sollevazione di massa dell'Islam moderato.
«Se partiamo dal presupposto che le stragi hanno come filo conduttore il fatto di essere commesse nel nome dell'Islam, è inevitabile interrogarsi sulla mancata sollevazione di massa dell'Islam moderato. E ci tengo a sottolineare che io non credo affatto che non esista un Islam moderato. Chiunque abbia occasione di viaggiare e conoscere i Paesi islamici, dalla Giordania all'Indonesia, sa perfettamente che esistono milioni di islamici moderati che provano un sentimento di ripulsa di fronte a questa violenza».
Qual è il motivo per cui l'islam moderato resta senza voce?
«Non lo so. Posso solo dire che non si può sottovalutare questo aspetto, quello della dissociazione di massa, che è fondamentale per circoscrivere la violenza. In Italia accadde con il terrorismo, con partiti e movimenti democratici che crearono gli anticorpi per l'azione dello Stato. Ma accade con i siciliani rispetto alla mafia o in Campania rispetto alla camorra».
Esiste un filo rosso tra le diverse stragi di questi mesi?
«Non credo che i vari episodi siano collegabili. L'Isis è un enorme franchising, esiste il rischio di una assurda sindrome imitativa».
L'Occidente rischia di chiudere gli occhi pur di non ammettere di essere in guerra?
«La reazione dell'Occidente può essere vista anche in positivo, come la capacità del nostro sistema di far prevalere la vita, di relativizzare il pericolo. Probabilmente sia io che lei abbiamo guardato Italia-Germania, ma difficilmente abbiamo pensato che quell'evento stava avvenendo nel Paese europeo maggiormente colpito dal terrorismo e lo abbiamo vissuto in termini di pericolo. È giusto avere coscienza della minaccia, lo è altrettanto non farci condizionare.
Importante, invece, è non dimenticare mai chi è caduto in questa guerra e le loro famiglie, al museo del Bardo, a Dacca o al Bataclan. Così come non bisogna cedere all'assurda equazione immigrato uguale clandestino uguale terrorista».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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